Tra dolore e dolore: due possibili versioni del caso Caterina Simonsen

Da Veganzetta


Recentemente si è appresa notizia di ciò che potrebbe essere definito un vero e proprio caso, diventato mediatico. Caterina Simonsen, giovane studentessa all’Università di Bologna, è una ragazza di venticinque anni affetta da alcune malattie rare. Per questioni di privacy e rispetto nei confronti della giovane, non entrerò nei dettagli della sua situazione, resa nota da orde di messaggi e post apparsi sul noto social network, Facebook. In ogni caso, è assai difficile che le informazioni in altrui possesso siano effettivamente complete, pertanto eviterò di affrontare la situazione nella fattispecie. Ciò che mi prefiggo come obiettivo di questo articolo, invece, è riportare “giornalisticamente”, come da titolo, due possibili versioni concernenti il caso Simonsen. Al fine di evitare incomprensioni, già sorte altrove, intendo specificare chiaramente che questo articolo acquista carattere puramente informativo. Per correttezza e completezza d’analisi, le due “teorie” esposte sono da intendere come possibilità. Nonostante ciò, al termine delle due versioni esprimerò separatamente alcune considerazioni personali.

Caso I:

Caterina Simonsen, ragazza malata e costretta al respiratore per gran parte della giornata, secondo cronaca, sarebbe stata insultata da alcuni animalisti per aver difeso la sperimentazione animale (altresì chiamata vivisezione, in estensione, come da dizionario o, secondo l’asettica terminologia utilizzata dai suoi fautori, ricerca in vivo) grazie alla quale, la sua vita sarebbe stata salvata. Il caso, diventato mediatico dopo che la ragazza ha risposto alle minacce di morte ricevute tramite video, ha sollevato la reazione e il sostegno dei vivisezionisti (da distinguere dai vivisettori, in quanto i primi a favore della sperimentazione animale e i secondi i suoi esecutori). Secondo il primo caso, dunque, tutto si sarebbe svolto esattamente come è stato affermato. La ragazza, realmente malata, sarebbe stata realmente insultata da alcuni animalisti e avrebbe agito personalmente, prendendo posizione personale a favore della vivisezione come metodo di ricerca.

Considerazioni personali sul Caso I:

La (nuova) collisione tra animalisti e antispecisti e vivisezionisti ha aggiunto altro combustibile alla già rovente brace della questione della sperimentazione animale. Il dibattito sulla sua effettiva validità scientifica è lungo, complicato e intrecciato; discuterne in questo articolo non solo distoglierebbe l’attenzione dal tema principale, cioè il caso della giovane studentessa, ma sarebbe anche impossibile a livello pratico. Ciò che è possibile fare, però, è porre la questione, seppur per brevi accenni (sempre causa spazio), sotto un punto di vista etico. Passo dunque a domandare: assunto che gli Animali sono esseri coscienti e senzienti, in grado, cioè, di sperimentare sensazioni quali dolore, paura, tristezza, gioia e altre, può essere giustificata la loro tortura e la loro uccisione in sterili laboratori al fine di un progresso (il che, poi, è ancora tutto da dimostrare) della scienza medica (o, per estensione, cosmetica, militare, accademica e così via)? La risposta a tale quesito include argomentazioni riguardanti la conoscenza degli Animali, la loro psicologia, la questione dei diritti fondamentali (da non confondere con quelli giuridici) e ancora altre se ne potrebbero aggiungere. Per quanto riguarda me e l’antispecismo in generale, la risposta è: no, poiché ogni Animale possiede gli stessi diritti alla vita, alla salute e alla libertà degli esseri Umani. Inoltre, ritengo che la vivisezione non si basi su fondamenta scientifiche, ma che queste siano, invece, empiriche e che gli Animali non costituiscano un modello “istituzionalmente” predittivo per gli Umani. Come suddetto, però, la discussione è molto vasta e, per quanto io lo desideri ardentemente, non posso permettermi di affrontarla in questo scritto.

Concentrandosi sul caso di Caterina Simonsen nella fattispecie, per quanto riguarda il Caso I, intendo (io, così come, molto probabilmente, ogni altro antispecista) prendere le distanze dagli insulti che sono stati rivolti alla ragazza, in quanto non conformi alle modalità improntate sul rispetto e sul riconoscimento degli altrui diritti, che sono, invece, appannaggio di questo movimento di liberazione animale e umana (enfatizzo in questo caso la liberazione umana, come parte dell’antispecismo, al fine di ricordare che tanto il Topo torturato e ucciso nei laboratori, quanto il bambino affetto da un tumore, sono campi in cui gli antispecisti intervengono cercando di garantire il riconoscimento dei diritti di tutti, siano essi Umani o Animali). Tale volgarità e tale strategia d’azione non mi rappresentaPer quanto mi riguarda, la lotta alla schiavitù degli esseri viventi, la più grande battaglia della Storia, necessita di essere combattuta con fermezza, conoscenza e senso strategico, ma anche mantenendosi conformi alle nozioni di rispetto che lo stesso antispecismo promuove.

D’altro canto, per correttezza d’informazione, così come gli animalisti o gli antispecisti, talvolta in preda alla rabbia o allo stress, insultano i loro “avversari”, sono questi ultimi (e in misura assai maggiore) ad augurarci la cattiva salute o la morte. Restando nell’ambito del Caso I, infine, pongo a Caterina Simonsen i miei più sinceri auguri per la sua sfortunata condizione. Colgo, inoltre, l’occasione per incitare la stessa a svolgere maggiori ricerche sull’argomento vivisezione e spero possa un giorno riuscire a guardare gli Animali rinchiusi nei laboratori e “sacrificati per la scienza”così come ora guarda i Cani e i Furetti che, invece, abbraccia.

Caso II:

Alcuni giorni dopo lo scoppio del caso Simonsen, hanno iniziato a circolare alcune ipotesi circa la possibilità di un complotto ideato dai vivisezionisti volto a screditare il movimento antispecista e animalista che, in questi anni, ha preso sempre più piede. Per completezza d’informazione, dunque, riporto sotto il Caso II le informazioni, le “coincidenze” (ho deliberatamente usato le virgolette poiché, secondo i sostenitori della seconda possibilità, esse non sono affatto delle coincidenze, bensì delle prove) che hanno insospettito alcuni antivivisezionisti.

In primo luogo, sarebbe da considerare la vicinanza del caso, quindi della svalutazione del movimento antivivisezionista, alla data 14 gennaio 2014, giorno in cui entrerà in vigore una nuove legge sulla sperimentazione animale. In secondo luogo, l’unica associazione vivisezionista nominata dalla ragazza sarebbe Telethon, che sembra aver recentemente avuto un calo in termini economici. In ultimo, la studentessa sarebbe stata ricollegata all’azienda Simonsen Laboratories, per analogia di cognome, che “produce” proprio Animali destinati alla vivisezione. A questo punto, devono essere considerate tre possibili varianti dello stesso Caso II: secondo alcuni, a ideare questo complotto sarebbe stata proprio Caterina Simonsen, seguita a ruota dai vivisezionisti, mentre secondo altri, la ragazza avrebbe agito personalmente regalando, però, (anche involontariamente) agli altri vivisezionisti la possibilità di avviare un’intensa campagna mediatica, facendo assumere, alla vicenda, i connotati, appunto, di una sorta di complotto. C’è chi, infine, pensa che Caterina Simonsen possa essere stata anche assoldata dai fautori della sperimentazione animale. Comunque siano andate le vicende, sia nel Caso I che nel Caso II, la campagna mediatica si è svolta.

Tutto il Caso II, verrebbe coronato da una piccola indagine svolta dall’associazione Animalisti Italiani ONLUS, secondo cui le persone che hanno rivolto insulti verso Caterina non sarebbero affatto animalisti, in quanto l’unica traccia di attività riconducibile all’animalismo riscontrata sui loro profili Facebook sarebbe proprio costituita dagli insulti e null’altro. Sulla base di ciò, alcuni ritengono che queste persone siano state ingaggiate al solo fine di scatenare il caso, da ritorcere, poi, contro il movimento di liberazione animale.

Considerazioni personali sul Caso II:

Anzitutto, desidero ribadire ancora una volta che lo scopo di questo articolo è di carattere esclusivamente informativo. Per quanto riguarda la Simonsen Laboratories, personalmente ritengo si tratti di un (oserei dire, ironico) caso di semplice omonimia. Non credo che Caterina Simonsen possa avere un nesso con quest’ultima, poiché l’azienda si occupa di allevare Animali destinati alla vivisezione, mentre la giovane non ha direttamente a che fare con il mondo di questa pratica (salvo, naturalmente, i casi di vivisezione svolta all’università, dove è possibile, comunque sottoscrivere l’obiezione di coscienza). Piuttosto, l’azienda può essere collegata all’argomento di quanto scaturito dal caso Simonsen, cioè un nuovo dibattito sulla sperimentazione animale.

Comunque si siano svolte le vicende, l’antispecismo e l’animalismo non sono estranei ai complotti. Posso citare a tal proposito il caso di Leon Hirsch (1), che ideò il suo assassinio (che, ovviamente, non avvenne) al fine di screditare il movimento di liberazione animale. Senza dover necessariamente arrivare a livelli così gravi, esiste chi, dunque, ritiene che la vicenda della ragazza possa essere ricondotta ad una vera e propria macchinazione ad opera dei sostenitori della vivisezione.

Nel caso ciò dovesse rappresentare la realtà, credo ci sia poco da aggiungere. L’unico termine che ritengo sia possibile utilizzare è: vergogna.

Samuele Strati

 Note: 
1)  Tom Regan, Gabbie Vuote. La sfida dei diritti animali, Sonda, Casale Monferrato 2005, pp. 44-45

Indirizzo breve di questa pagina: https://www.manifestoantispecista.org/web/Rd5Pl

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