Antispecismo e anarchismo: un nesso inscindibile

Interessante testo di Nicholas Tomeo pubblicato nella rubrica “Casella postale 17120” del numero 403 di A Rivista anarchica.


Fonte: www.arivista.org/?nr=403&pag=141.htm#2


Antispecismo e anarchismo: un nesso inscindibile

L’antispecismo, quella forma di lotta per la liberazione animale, rappresenta un argomento che nel corso degli anni ha sollevato accese discussioni all’interno dei gruppi anarchici. In particolare ci si chiede se l’antispecismo rappresenta o meno una lotta insita nell’anarchismo. Cos’è che differenzia lo specismo dal razzismo o dal sessismo? Non è forse lo specismo una delle varie strutture gerarchiche di dominio al pari delle altre? Può parlarsi di anarchismo senza antispecismo?

Un chiarimento terminologico
All’interno del movimento anarchico globale, da decenni, si porta avanti la discussione intorno all’antispecismo e, in particolare, di come il movimento libertario dovrebbe approcciarsi ad esso. Nello specifico, ci si chiede se l’antispecismo dev’essere o meno considerata una componente essenziale nella definizione di anarchismo e di anti-autoritarismo.
Com’è noto, l’antispecismo, rappresenta quella corrente filosofica, culturale e politica per cui nessuna specie animale, sia essa umana che non-umana, è considerata al di sopra e/o superiore alle altre. Per questo, è antispecismo, quell’insieme di pratiche quotidiane volte all’abbattimento dello sfruttamento delle specie animali, e che a queste provocano danno e sofferenza, per trarre esclusivo vantaggio e godimento a favore di un’altra. Alla base di ciò, c’è il pieno riconoscimento del diritto alla vita e alla non-sofferenza di tutti gli esseri animali. Di contro, ovviamente, c’è lo specismo che considera una specie come superiore alle altre e, pertanto, si accaparra, in maniera del tutto autoritaria, il diritto di disporre della vita delle altre specie. L’antispecismo quindi, si batte per la liberazione totale degli esseri animali, senza distinzioni alcune rispetto alla specie di appartenenza.
È bene precisare che nella discussione in oggetto, sarebbe del tutto irragionevole adoperare la distinzione tra specie umane e non-umane, in quanto si porrebbe inevitabilmente anch’essa come una differenziazione specista. Infatti, la divisione tra animali umani e non-umani, andrebbe a considerare l’umano come fulcro per la distinzione di questo rispetto alle altre specie animali con un approccio chiaramente gerarchico. L’umano, secondo l’approccio antispecista, è considerato solo come una delle milioni di specie presenti sulla Terra, avente così pari dignità e diritto alla vita riconosciuti a tutte le altre specie animali. Pertanto, in questo contesto, se non rappresenta significato alcuno la differenziazione specista tra animali umani e non-umani, se non al fine di favorire una discussione terminologica e dialettica più lineare e fluida, allo stesso modo in assoluto non viene riconosciuta la divisione antropocentrica e comunemente accettata tra umani e animali come appartenenti a due mondi diversi e distanti. Ad ogni modo, va detto che l’antispecismo è una corrente culturale e politica nata per contrastare il dominio dell’animale umano sulle altre specie animali e che, per questo, la pratica della liberazione animale che viene messa in atto è prettamente umana. Perciò, laddove la distinzione tra animale umano e animale non-umano potrebbe essere considerata legittima in senso antispecista, è solo a condizione che questa non venga inquadrata come differenziazione naturale e assoluta, ma bensì, come il riscontro di un volontario e meccanico sganciamento del vivere umano rispetto alle società non-umane, ossia rispetto alla restante società naturale – ed è qui che va a concretizzarsi l’antropocentrica e specista distinzione finora discussa – la quale include le società animali, l’ambiente, e l’interazione tra queste due.

Specismo come categoria di dominazione
Lo specismo altro non rappresenta che una delle varie forme di dominio dell’essere umano sulle società non-umane. O meglio, lo specismo, è solo la gerarchia imposta dall’animale umano nell’interazione con gli animali non-umani. In effetti, a ben guardare, le società strutturate in maniera verticistica e gerarchica, impongono la subordinazione di uno o più individui a vantaggio di altri. Così, ad esempio, il razzismo impone la subordinazione di alcuni individui rispetto ad altri sull’errata considerazione della differenza biologica su base razziale; allo stesso modo il sessismo in base all’identità sessuale, così come il maschilismo e l’omofobia; ancora, il classismo, impone la subordinazione di alcuni individui rispetto ad altri in base all’appartenza ad una determinata classe sociale; l’etnocentrismo su base etnica impone la supremazia di un’etnia sulle altre o il nazionalismo su base nazionale. Lo specismo così, impone la subordinazione di tutte le specie animali non-umane agli interessi dell’unica specie animale umana.
L’anarchismo, che nasce proprio dalla lotta per la distruzione del dominio, del potere, dell’autorità e delle gerarchie, non può non prendere in considerazione l’antispecismo al fianco dell’antisessismo, dell’antirazzismo, dell’antiautoritarismo per la costruzione di una società libertaria. Infatti, la supremazia umana rispetto agli animali non-umani, è imposta sulla mera appartenenza degli uni e degli altri a specie diverse tra loro, così come ogni gerarchia sociale nasce dall’appartenenza a gruppi sociali portatori di interessi diversi tra loro. Le gerarchie quindi cadono e vengono abolite laddove la distinzione di appartenenza non si pone come limite, ma quando c’è il riconoscimento della diversità utile solo per il perseguimento di interessi differenti. Se questo riconoscimento vale ed è valso in passato nel rapporto tra umani, l’anarchismo dovrebbe riconoscere le differenze tra animale umano e animale non-umano come delle caratteristiche peculiari ma non limitanti e legittimanti lo sfruttamento dei secondi ad opera dei primi. A tal proposito, basti pensare ad esempio che lo schiavismo, sin dalle civiltà antiche fino all’età moderna, è stato giuridicamente regolamentato fino alla sua abolizione (su questo bisognerebbe ragionare se lo schiavismo ha semplicemente cambiato forme rispetto al passato) avvenuta quando, giusto per esemplificare, il colore nero della pelle è stato riconosciuto come caratteristica dovuta alla melanina e non per identificare un’inferiorità. Stesso discorso può farsi rispetto al colonialismo o alle leggi razziali.
Ciò che non va dimenticato, è che l’evoluzione delle specie in base alle proprie necessità, ha portato queste a sviluppare caratteristiche diverse tra loro le quali non possono in alcun modo essere considerate come grado di valutazione di inferiorità e superiorità e, di conseguenza, per il loro sfruttamento, ma bensì come semplici differenze evoluzionistiche.
Da parte di chi scrive non c’è la volontà di porsi come giudice giudicante la condotta altrui, né la volontà di stilare una sorta di “costituzione anarchica” da cui far emergere i princìpi dell’anarchismo. Personalmente però, il mio approccio all’anarchismo, prevede anche la distruzione dello specismo inquadrato come gerarchia dominatrice e sfruttatrice, al pari di altre strutture gerarchiche e con le quali lo specismo condivide la stessa comune radice. A tal proposito credo che lo specismo si sviluppi nello stesso modo in cui si sviluppa il razzismo, il sessismo, il classismo, il patriarcato, il maschilismo, l’omofobia, lo schiavismo, l’antropocentrismo, l’etnocentrismo, il colonialismo, il nazionalismo, il capitalismo e tutte quelle forme di dominio economico, sociale, culturale, di appartenenza e di identità. Pertanto, la lotta per la liberazione totale, non potrebbe essere considerata compiuta fin quando anche lo specismo non verrà sradicato e distrutto.

Nicholas Tomeo
Vasto (Ch)

 

Indirizzo breve di questa pagina: https://www.manifestoantispecista.org/web/S9pwE

9 Commenti

  1. L’anarchismo tradizionale è stato fortemente antropocentrico e spesso scientista, da Bakunin a Kropotkin ecc., come del resto tutte le altre correnti politiche moderne di vario colore. Ci sono state solo rarissime eccezioni (Reclus, Louise Michel), inascoltate nel loro ambiente. Posto che l’anarchismo classico, sul punto specifico, non ha alcun merito, non sarebbe meglio rivolgersi a quelle correnti culturali che, fin dall’antichità, criticavano l’antropocentrismo e promuovevano l’etica della compassione cosmica?

  2. Sicuramente ci sono correnti culturali dell’antichità a cui poter fare riferimento e il fatto stesso che l’antispecismo abbia numerose radici lo permetterebbe, quindi un recupero in tal senso non solo è doveroso, ma possibile.
    Per quanto riguarda l’anarchismo hai perfettamente ragione, ma d’altro canto bisogna anche considerare che l’impianto teorico antispecista è fortemente antigerarchico e quindi facilmente accostabile a quello anarchico. Per ciò che dici – il problema reale dell’antropocentrismo – reputo impossibile considerare l’antispecismo come una “emanazione” dell’anarchismo, semmai vedo l’idea anarchica come uno degli elementi portanti della filosofia antispecista che ne assorbe alcune istanze e le rielabora per procedere su una visione prettamente antiantropocentrica.

  3. L’autore parla di antispecismo, ma poi precisa di riferirsi esclusivamente alle specie animali. E le altre specie (14 milioni e forse molte di più)?? Il termine ANTISPECISMO in quanto tale dovrebbe riferirsi a tutte le specie, e non ad alcune… altrimenti bisognerebbe cambiare termine, e trovarne uno che non si presti a queste obiezioni

  4. Per quanto riguarda il nesso, appunto inscindibile, tra anarchismo e antispecismo, vorrei dire, come accennato anche da Adriano Fragano, nonostante siano due teorie praticamente uguali nei metodi, restano differenti nei fini, o meglio diversi sono i soggetti a cui i fini dovrebbero realizzarsi. Pur essendo l’anarchismo “classico” esclusivamente specista e antropocentrico, ha comunque dei metodi assolutamente condivisibili (e che io condivido), così come i suoi fini, ma comunque circoscritti ad un’unica specie, quella umana appunto. Anche se l’anarchismo classico nasce, come idea in sé, prima dell’antispecismo (il termine antispecismo nasce negli ’70 con Ryder), io credo fortemente che l’antispecismo sia la forma più etica e pura di anarchismo; e credo inoltre che quando parliamo di antispecismo inevitabilmente parliamo di anarchia, ma non il contrario: se la teoria anarchica che porti avanti è solo ed esclusivamente in riferimento agli umani sei specista! Partiamo da un presupposto: se mangi animali li stai sfruttando e violentando, e ti poni in una posizione di dominio, quindi gerarchicamente superiore. Questo credo sia oggettivo.
    Lo spazio per spiegare al meglio questa mia idea era ovviamente poco perché le esigenze della pubblicazione quello richiedevano, ma per questo sto scrivendo un altro articolo dove si va nel profondo della questione.

    Per quanto riguarda il termine “antispecismo” che per te Sofia Eco appare deviante, io credo non sia propriamente giusto quello che sostieni. Innanzitutto perché il termine specismo nasce con una spiegazione ben precisa, che è quella data inizialmente da Ryder, poi ampliata e arricchita in modo particalare da Singer e Regan, che fa riferimento esclusivamente alle specie animali, escludendo le altre. Per questo i rapporti con gli altri abitanti non animali della Terra, e faccio riferimenti alle specie vegetali e all’ambiente in generale (per quanto il termine “ambiente” può essere anch’esso deviante se non spiegato bene cosa non possibile su Facebook… ma cerchiamo di dare un’accezione comunemente accettata) vengono prese in considerazione sotto altri punti di vista ma comunque di pieno rispetto, tutela e salvaguardia. Il tuo quindi credo sia una sottigliezza esclusivamente linguistica che, in teoria, potrebbe anche essere condivisibile se prendiamo il termine singolarmente svuotandolo però del significato per cui nasce. Sarebbe insomma come dire che non puoi definirti ANTIRAZZISTA perché le razze umane non esistono, e poi perché qualora queste esistessero (ma non esistono…ovviamente!), fai riferimento solo alle razze umane, e non anche a quelle, per esempio, feline o cinofile.

  5. Nicholas Tomeo , sono d’accordo quando affermi che anche gli esseri diversi dagli animali meritano rispetto (hanno un valore intrinseco, direbbe Naess); io credo però che quanto condividiamo dovrebbe spingere verso un uso fortemente aperto ed estensivo del concetto di Antispecismo (se si ritiene che questo termine debba essere salvaguardato in modo coerente). Altrimenti (cioè limitandolo alla sfera animale), si rischia di ricadere in restrizioni che prima o poi ci verranno giustamente rimproverate e ci ricadranno addosso (come è successo all’anarchismo classico con la questione antropocentrica). Sulla necessità di elaborare una cultura libertaria adatta al nostro tempo, sono d’accordo con te e Adriano Fragano; solo che, considerando centrale il superamento dell’antropocentrismo (mi pare che anche su questo concordiamo), ritengo che sia preferibile assumere come punti di riferimento quegli autori-scuole-correnti culturali che tematizzavano esplicitamente questo superamento (a differenza dell’anarchismo classico).

  6. La questione è molto ampia. Ne abbiamo parlato anche a voce ricordi Paolo?
    Certamente sia il termine “antispecismo”, sia il concetto di rispetto dell’altro che esprime sono perfettibili e saranno oggetto di grandi cambiamenti – come del resto è avvenuto dal 1970 ad oggi -, credo però che non si debbano mescolare le questioni. Nello specifico si faceva riferimento al fatto che c’è molta vicinanza tra anarchismo e antispecismo, che poi chi si definisce anarchico non sia antispecista è un problema, ma per il contrario (per chi si definisce antispecista), il pensiero anarchico costituisce di sicuro una base da tenere in grande considerazione per elaborare una teoria libertaria compiuta. Come già detto in precedenza nulla ci vieta di considerare altri pensieri per poterli elaborare in forma antispecista, infatti ritengo che l’antispecismo abbia moltissime radici che affondano in pensieri del passato ancorché specisti. Quindi nulla ci vieta di accostare al pensiero antispecista alcune istanze anarchiche – evitando l’antropocentrismo – e al contempo fare lo stesso per idee derivanti dal pensiero filosofico dell’antichità, come per molto altro ancora.
    Che l’antispecismo sia limitato come termine e come concetto perché si rivolge solo agli Animali, è ovvio. Che però sussistano enormi problemi di ordine pratico e legati alla coerenza è altrettanto ovvio: l’antispecismo propone di rispettare i diritti fondamentali altrui – degli altri Animali – e di non sfruttarli, questo nella pratica si può concretizzare per esempio nel veganismo etico e in molte altre pratiche, ciò ci aiuta a porre in essere gli ideali che perseguiamo, ma se dovessimo fare lo stesso anche per le piante? per gli altri viventi? per le rocce? In quale modo questa idea – bellissima – potrebbe essere posta in essere?
    Ci sono ancora moltissime cose da pensare, quindi per ora è senza dubbio importante concentrarci sull’elaborazione di una teoria solida antispecista – che ancora manca – per poi poterla estendere anche agli altri viventi.

  7. Infatti, credo che le osservazioni di Paolo Scroccaro siano condivisibili, ma essendo possibile appunto la commistione tra antispecismo e altre teorie, e quindi anche anarchismo, non vuol dire che trovare nell’anarchismo classico un fedele alleato escluda a prescindere la vicinanza con altre pratiche. La questione è che l’antispecismo, come teoria e come pratica, è un qualcosa di specifico, così come ogni altra teoria e pratica. Per esclusione quindi, tutto ciò che non è antispecismo è specismo; il che significa che rispetto a tutte le altre teorie l’antispecismo rappresenta qualcosa di diverso e viceversa. Però, oggettivamente, l’anarchismo che nasce per l’abolizione delle gerarchie e del dominio, seppur in chiave umana e antropocentrica, è la teoria e la pratica che potrebbe essere considerata quella più vicina all’antispecismo. Inoltre, io che sono e mi definisco anarchico, in quanto antispecista (per i motivi suddetti), e che frequento ambienti anarchici e faccio parte di collettivi libertari, ancorché specisti (appunto perché non antispecisti), ritengo molto importante affrontare soprattutto negli ambienti anarchici in quanto antiautoritari, antifascisti, antisessisti, la discussione in oggetto.

  8. Personalmente non mi concentrerei affatto sull’anarchismo classico, ma su quelle correnti “eretiche” dell’anarchismo che di sicuro sono più libere da dogmatismi e aperte al confronto e alla contaminazione.

  9. Certi autori premoderni si sono posti anche il problema di rispettare le piante, le rocce ecc., cioè anche la parte di mondo che noi oggi consideriamo non-animale o non -vivente: la linea di demarcazione è alquanto discutibile,e quindi non mi aggrapperei ad essa. Comunque, restando sulle generali, sintetizzerei così: vivere significa esercitare comunque un impatto sugli altri esseri, animali o meno, e dunque sull’intera natura. Solo che l’etica antropocentrica e sviluppista (nelle sue innumerevoli versioni di destra e di sinistra), esalta la massimizzazione di tale impatto, senza alcun scrupolo morale; invece l’etica della compassione cosmica o come la vogliamo denominare) promuove il movimento opposto, cioè la minimizzazione di tale impatto: un insegnamento antico dal valore perenne, e in antitesi con la direzione sviluppista assunta dalla civiltà contemporanea. Riducendo al minimo possibile la pressione sugli altri esseri (animali e non), si lascia maggior spazio per tutti i vari esseri, senza preclusioni speciste o altro: questa mi sembra l’essenza di qualsiasi insegnamento libertario; solo che questo insegnamento non è stato promosso dagli anarchici classici, ma da correnti culturali che usavano tutt’altro linguaggio, e che tuttavia, di fatto, erano libertarie e pluraliste nei contenuti più significativi del loro messaggio.

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