Agli inizi del ‘900 il sindacalista e pacifista americano Eugene V. Debs affermava:
Finché ci sarà una classe inferiore, io ne farò parte. Finché ci saranno dei criminali, io sarò uno di loro. Finché ci sarà un’anima in prigione, io non sarò libero.
Quello di Debs era un appello alla libertà e all’uguaglianza che rimane a tutt’oggi lettera morta.
Come ogni anno l’antispecismo italiano festeggia il 25 aprile: la liberazione dal nazi-fascismo, dall’oppressione, dalla tirannia, dal dominio del più forte sul più debole; ma lo spirito con cui lo festeggia possiede un respiro molto più ampio rispetto a quello del concetto di liberazione percepito dal senso comune, e non potrebbe essere altrimenti.
Ogni 25 aprile, come ogni giorno dell’anno, ci si dovrebbe perlomeno domandare: “cosa significa essere liberi?”. Una semplice domanda capace di scatenare una cascata di considerazioni sulla nostra condizione di Umani, ma anche solo di cittadini di una società che, palesemente o subdolamente, ci opprime, ci controlla e ci ingabbia, come opprime, controlla e ingabbia (e ci invita con successo a fare altrettanto) miliardi di altri esseri senzienti che non ne fanno nemmeno parte.
Debs evidentemente aveva un’idea altissima della libertà. La libertà non appartiene alla sfera della parzialità, della discrezionalità, non è opinabile, come non è relativa. La libertà è un concetto assoluto: non può esistere se ad essere liberi sono solo alcuni soggetti, che ad essa anelano, a discapito di altri. La libertà riservata solo ad alcuni, equivale a una feroce ingiustizia, a una tirannia: di sicuro i razzisti del Sudafrica dell’apartheid si sentivano liberi, come pure i fascisti e i nazisti al potere durante le dittature europee del secolo scorso, certamente i sostenitori dei regimi totalitari sudamericani hanno vissuto appieno il loro concetto di libertà, come pure i gerarchi sovietici, ma tutti a discapito della libertà altrui.
“Finché ci sarà un’anima in prigione, io non sarò libero“, Debs scrivendo “anima” intendeva l’Umano – secondo la nostra presunta caratteristica distintiva veicolata dall’assurdo antropocentrismo della religione – e non tutti i senzienti, forse però il suo concetto di libertà si spingeva oltre e davvero dovrebbe essere così.
Di anime (il termine Animale deriva dal latino e significa essere animato) imprigionate, sfruttate, umiliate, torturate e uccise ce ne sono a miliardi: senza scomodare il trascendentale ci si potrebbe semplicemente limitare a considerare che sono miliardi di individui che soffrono, anche oggi, e muoiono a causa nostra. Come potremmo noi – padroni privilegiati e comodamente alloggiati nei piani alti di un grattacielo sociale costruito sull’ingiustizia – gioire della nostra avvenuta liberazione?
Dobbiamo immedesimarci negli altri, nei più diversi e lontani da noi, e asserire, parafrasando Debs, “finché ci sarà una specie inferiore, io ne farò parte”; ripartendo dal basso, dal fondo potremmo finalmente porre rimedio – da criminali che infrangono la legge del più forte – alle tragedie che abbiamo causato agli altri e a noi stessi.
Se fossimo esseri meno ipocriti ed egoisti, potremmo semplicemente ammettere che davvero nessuno potrà mai sentirsi libero, fino a quando anche l’ultimo degli Animali non lo sarà completamente e definitivamente.
Finalmente una libertà senza limiti di specie.
Buona liberazione.
Adriano Fragano