Antispecismo e metodo del consenso

Una ipotetica futura società umana aspecista dovrà ovviamente essere amministrata. La vita pubblica sarà (per motivi di egualitarismo e di giustizia) nelle mani dei singoli membri della società stessa. La vita sociale necessita di continue decisioni, talvolta di estrema importanza e gravità, per poter funzionare al suo meglio, e in una società umana liberata nessuno dei suoi membri dovrà/potrà essere escluso, dato che ogni decisione, potrà avere delle ricadute dirette o indirette sul singolo.

Pertanto per compiere tali atti di interesse generale, sarà indispensabile che ciascun membro della nuova società liberata sia libero di esprimere il proprio pensiero, e di partecipare ai processi decisionali collettivi a vari livelli. La futura società, pertanto, sarà posta dinnanzi ad un problema di carattere fondamentale: la scelta di un modello decisionale condiviso per la gestione della vita pubblica. Uno dei metodi di maggior interesse che, per le sue peculiarità, potrebbe essere utile come stimolo per un modello futuro di politica partecipata, è il cosiddetto “metodo del consenso“.

Si invitano i lettori a visitare questo link dove sarà possibile visionare del materiale informativo sulla teoria e la pratica del metodo del consenso.

Buona lettura

Adriano Fragano

 

Indirizzo breve di questa pagina: https://www.manifestoantispecista.org/web/2UemC

8 Commenti

  1. Caro Adriano ;-) ti ringrazio per questa info che in effetti è utilissima!
    L’attività cresce e il metodo del consenso è uno strumento veramente irrinunciabile.
    Ora studio.
    Cari saluti e complimenti per questa tua nuova iniziativa.

  2. Caro Lidio,

    Ringrazio te per la visita e per il commento. Lo strumento del consenso credo sia una delle pratiche che l’antispecismo dovrebbe considerare, spero che come te vi siano molte altre persone interessate alla sua diffusione. Non è certo l’unica, ma credo sia una buona pratica.

    Grazie per i complimenti e spero di leggerti di nuovo presto.

    Adriano

  3. Il testo e il metodo del consenso rendono vivibile l’unanimità.
    Personalmente ho molti problemi di stomaco a disgiungere le persone dai problemi, ma so che è un mio difetto. Più coscientemente invece credo che il fine possa giustificare alcuni (alcuni) mezzi.

    Ciao Adriano & friends! Bene! Di sicuro attingerò in questo nuovo vostro lavoro (blog) per imparare…

  4. Ciao Piero,

    Hai ragione non è affatto facile…
    Proprio oggi ho acquistato un testo che credo sia utile alla causa: “L’antibarbarie – la concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo” di Giuliano Pontara ed. Edizioni Gruppo Abele/L’Unità. Il testo finisce con questa frase di Gandhi: “enunciare la nobile dottrina dell’ahimsha è facile; osservarla in un mondo pieno di conflitti, di sconvolgimenti e di passioni e un compito della cui difficoltà mi rendo conto ogni giorno di più”. L’autore aggiunge: “ma esistono forse vie facili?”.
    In effetti vie facili non ne esistono.
    Con questo non dico che ogni principio debba essere adottato alla lettera dall’antispecismo, ma che le fondamenta teoriche del futuro movimento antispecista dovrebbero basarsi su ciò che di più positivo e meritevole di attenzione c’è in molte pratiche e teorie troppo spesso abbandonate o ingnorate in favore di vie più facili, ma di sicuro meno giuste e solidali.

    C’è molto da cambiare, ma c’è anche molto da recuperare dal nostro passato.

  5. …scusate una brevissima segnalazione: il venerdì sera del 25 aprile imbastiremo all’incontro di milano sull’antispecismo una discussione sul metodo del consenso e la ricerca del consenso, due piani diversi ma contigui. chi non viene è uno specista della peggio specie! a proposito di tattiche di persuasione…

  6. Un esempio pratico ed introduttivo alla pratica del metodo del consenso:

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    Il Consenso : una introduzione

    In una comunità di individui ci sono molti modi per prendere decisioni e sicuramente nessuna di tali modalità è perfetta. Molti di noi sono cresciuti in una cultura che considera la democrazia di stile occidentale un valore supremo, dove il principio di “una testa, un voto” è il solo potere di cui ciascuno ha bisogno. Tuttavia in quelle stesse nazioni che gridano forte le virtù della democrazia occidentale sembra esserci una disillusione diffusa sulla sua capacità di cambiare le cose in modo significativo. La democrazia sembra ridursi al compito di eleggere un esecutivo che prenda tutte le decisioni, e a rinominarne uno successivo ogni qualvolta il precedente decade. Per la maggioranza di noi tale delega del nostro potere personale potrebbe sembrare un gesto non molto differente da quello di lanciare la monetina in aria. Nel voto democratico, di solito, a livelli sia macro che micro, una minoranza significativa è profondamente scontenta del risultato. Per questo, anche se tale minoranza accetta il risultato del voto, dal momento che accetta le regole del gioco, può comunque opporre una resistenza attiva o minare il risultato ottenuto lavorando all’opposizione solo in vista della prossima opportunità di voto.

    Il compromesso è un altro metodo per raggiungere una decisione, solitamente attraverso una negoziazione. Due o più parti annunciano la loro diversa posizione e tentano di avvicinarsi una all’altra con misurate concessioni e passi graduali e reciproci. Questo può spesso portare a una insoddisfazione di entrambe le parti, con il risultato che nessuno ottiene realmente ciò che desiderava.

    Il consenso, che qui presentiamo, è un modo più creativo per prendere decisioni. E’ un processo in cui non può essere raggiunta alcuna decisione a meno che tutti i presenti non abbiano la deliberata volontà di accettarla.

    Il consenso, in teoria, è il prodotto del miglior sforzo di pensiero creativo compiuto da tutti, e pone priorità sulla coesione e la stabilità del gruppo, piuttosto che sull’ansia di arrivare a delle veloci soluzioni e risposte. Il processo consensuale può essere lento e arduo. C’è bisogno di riconoscere che il problema del singolo membro del gruppo è un problema di tutto il gruppo. Comunque sia, se le minoranze vengono ascoltate, non solo la decisione finale è spesso migliore di quella che la maggioranza potrebbe velocemente imporre, ma tale decisione ha più probabilità di ricevere un ampio supporto nel momento della sua attuazione.

    La prima e fondamentale condizione affinchè il consenso sia attuabile è che ogni singolo membro del gruppo si senta impegnato a farlo funzionare. Inoltre è molto importante la presenza di un facilitatore del processo che sia deciso e imparziale. Questo è necessario per tenere il processo decisionale ben saldo sui binari che lo caratterizzano e non perdere il focus delle proposte in gioco.

    Un abbozzo di procedura basilare

    Ci sono molti modelli di consenso in altrettanti manuali, scritti dagli anni ’70 ad oggi, soprattutto nei paesi anglosassoni, che vengono dall’osservazione dell’esperienza di gruppi religiosi, comunità indigene africane, asiatiche e sudamericane, organizzazioni nonviolente e altre realtà.

    Una procedura basilare può assomigliare alla seguente:

    1. Definite e formulate in gruppo il problema o la decisione da prendere. E’ d’aiuto se si riesce a farlo tenendo separati problemi e questioni dalle persone che li sollevano.

    2. Generate in gruppo, in un’atmosfera libera e non giudicante, possibili soluzioni. Queste vengono scritte su un cartellone. Tutte, anche le più assurde. Cercate di tenere un livello di energia alto, con suggerimenti veloci, istintivi ed intuitivi.

    3. Create uno spazio per le domande di chiarimento sulle soluzioni generate.

    4. Discutete le opzioni annotate. Modificatene alcune, altre eliminatele, e sviluppate una breve lista. Quali sono le favorite?

    5. Esplicitate le proposte, o quelle che avrete selezionato, affinchè queste siano chiare a tutti.

    6. Discutete i pro e i contro di ciascuna proposta, assicurandovi che ciascuno abbia la possibilità di contribuire al dibattito.

    7. Se ci sono grosse obiezioni ritornate al punto 6 o, talvolta, al 4 (questo è ciò che fa sì che si consumi del tempo e si pratichi la pazienza…).

    8. Se non ci sono grossi ostacoli, formulate la decisione e verificate tra tutti se vi è un accordo sulla sua definizione finale.

    9. Riconoscete le eventuali obiezioni minori e incorporate emendamenti proposti con spirito amichevole.

    10. Discutetene.

    11. Verificate il consenso.

    Quando il processo decisionale è ricominciato un paio di volte, ha preso in considerazione opzioni differenti, modificato le proposte, e voi vi trovate ancora in disaccordo con ciò che viene offerto, potreste considerare la possibilità di forme di opposizione che ad ogni modo non tengano in ostaggio il progresso del gruppo:

    * il non-supporto: “Non vedo la necessità di tale decisione, ma acconsento”;
    * le riserve personali (trascritte nei verbali della riunione, se lo volete). “Penso che sia un errore ma posso acconsentire”;
    * stare a parte: “Personalmente non posso fare questo, ma non impedirò ad altri di farlo per il gruppo”.

    Perchè la decisione sia adottata, dicevamo, c’è bisogno del permesso di ciascun membro, non solo di quello che alza di più la voce, di quello che articola meglio il suo pensiero, o di quello più conosciuto. Quindi sarà responsabilità e preoccupazione del gruppo ascoltare e dare una risposta a tutti i partecipanti, prendendo in considerazione i loro contributi. Ciò da vita non solo a gruppi più egualitari, ma produce anche gruppi con un senso di autorealizzazione maggiore, nei quali ciascun membro, col suo proprio stile relazionale e comunicativo, ha la possibilità di sentirsi incluso e importante. La responsabilità sarà così più equamente distribuita, e i membri diverranno anche reciprocamente più sensibili e coinvolti. Un passo importante, questo, nella direzione della diminuzione di quel diffuso, e spesso visibile, senso di separatezza tra individui appartenenti ad un gruppo, e che spesso può essere causa di profonde divisioni e sofferenze.

    Il “blocco” e le sue alternative

    Credo che il diritto dell’individuo di “bloccare” una decisione voluta dal resto del gruppo, sia uno dei fondamenti del processo decisionale consensuale. La possibilità dell’individuo di bloccare una decisione consensuata dal gruppo fu originariamente introdotta nelle comunità quacchere per garantire un ulteriore filtro e verifica contro possibili derive fanatiche della comunità stessa, che avrebbe potuto essere trascinata da leadership carismatiche e direttive.

    “Bloccare” una proposta che ha avuto un’ampia discussione ed è il frutto di una sintesi collettiva, è un atto molto serio. Dovrebbe essere fatto con molta coscienza e dopo attenta riflessione. Sicuramente non sulla scia di sentimenti di avversione per il gruppo e del senso di frustrazione che può derivare dal non vedere soddisfatte in pieno le proprie aspettative e i propri desideri. Il “blocco” dovrebbe essere basato su questioni di principio; qualcosa che riguardi l’etica, dei fatti specifici, probabili conseguenze negative per il gruppo, forti e diffuse preoccupazioni all’interno del gruppo, piuttosto che sulla base di proprie personali preferenze o impulsi egoistici.

    Un blocco comporta inoltre la responsabilità, per chi lo ha posto, di fare una proposta concreta su come continuare il processo decisionale. A questo punto possono essere prese in considerazione varie opzioni: dichiarare che non vi è, per il momento, il consenso e aggiornare la decisione ad un incontro futuro (specificando comunque quali passi si suggerisce di fare, nel frattempo, per cercare di chiarire la questione o per produrre nuove proposte), chiarire il clima emotivo del gruppo, ricominciare il processo decisionale per cercare nuove soluzioni più soddisfacenti. Un’opzione può essere anche quella, per chi non si riconosce comunque nella decisione che il gruppo ha intenzione di prendere, di considerare l’abbandono del gruppo stesso.

    Mezzi e fini

    Per gruppi che si occupano di azione diretta nonviolenta o che vogliono sviluppare un maggior senso di comunità, il processo decisionale consensuale è non solo un metodo per prendere decisioni, ma anche una maniera di costruire relazioni comunitarie, fiducia, un senso di sicurezza e di mutuo aiuto, importante soprattutto nei periodi di stress ed emergenza. Ciò richiede impegno, pazienza, e la volontà di riconoscere il primato del bene collettivo del gruppo sul proprio interesse personale. Non è certamente un processo adatto per decisioni veloci, ma può certamente aiutare a costruire una base sicura sulla quale decisioni di emergenza possono essere prese senza che il gruppo non le riconosca come proprie. E’ un metodo che diventa via via più snello e facile con la pratica e l’impegno continuo.

    Una parte del movimento pacifista ha tradizionalmente adottato tale metodo, principalmente perché rappresenta un deliberato tentativo di abbinare i propri metodi di azione con i propri fini. Se vogliamo un mondo in pace dove ciascuno possa vivere avendo garanzia di giustizia ed equità, dovremmo praticare quello stesso stile di vita nel qui ed ora.

    Giovanni Turra

    04/11/1998

  7. una perplessità che credo verrà fuori dai gruppi animalisti radicali che non si ispirano nelle idee e nelle pratiche alla non -violenza è che tale metodo riflette la speranza alienata di una società pacificata con l’illusione dalla pace, cioè che confida su un equivoco di fondo, appunto il miraggio del consenso allargato.
    io credo che questa osservazione abbia un fondo di verità e non da poco quando un gruppo immagina di poter realizzare un’accordo esterno, dal momento che l’impianto sociale predica solamente partecipazione e pari opportunità; ciò non toglie che all’interno dei gruppi stessi sarebbe a mio avviso consigliabile invece porre come punto di partenza la fiducia reciproca e la necessità di comprensione attraverso quello che i pacifisti chiamano non-violenza e altri, noi, potremmo chiamare affinità.
    la differenza cè e non è poca, non tale però da invalidare le linee guida del metodo del consenso quanto meno per cominciare a costruire un metodo adatto all’ambito antispecista che è un ambito particolarmentea sè, non interamente riconducibile a esperienze diverse, contraddistinto da quella solo apparente contraddizione di battersi per un mondo liberato dove coltivare tolleranza, ricorrendo, all’occorrenza, alla forza (concetto diverso da violenza se riconducibile all’esercizio legittimo dell’autodifesa). ma anche qui si riapre, per non chiudersi mai, lo scenario che vede opposte le schiere dei non violenti ai sostenitori della violenza ‘giusta’…quanto lavoro abbiamo di fronte…ciao

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