A noi Umani sono sempre piaciute le figure eroiche e ribelli perché in definitiva soddisfano una nostra propensione al romanticismo, osando ciò che generalmente noi non siamo disposti ad osare. Non fa eccezione il mondo animalista e antispecista (pur sempre formato da Umani), che ha preso a considerare sempre più quegli Animali che trovano la forza di ribellarsi e di fuggire alla sorte decisa dai loro aguzzini umani. Certo chi tra gli Animali si difende, attacca o scappa per salvarsi la vita, attira sempre simpatie e solidarietà, tanto da giungere ad assumere addirittura un’identità: smette di essere un numero, un oggetto o un corpo destinato a fornire reddito, per divenire un soggetto: un individuo.
Per questi Animali ribelli noi antispecisti giustamente gioiamo, addirittura l’opinione pubblica specista pare per un attimo aprire gli occhi per accorgersi della loro disperazione; è così che per mezzo di mobilitazioni, petizioni e collette, la loro vita spesso viene salvata. Chiaramente la nostra speranza è che ci siano sempre più di questi Animali disposti a tutto pur di tentare di ritrovare la libertà, perché è un loro inalienabile diritto farlo, ma è doveroso affermare che il mito del ribelle non aiuta la liberazione animale. Gli Animali non dovrebbero essere costretti a distinguersi e a stupirci con atti eroici per “meritare” la libertà. In realtà la libertà per chi la desidera, dovrebbe essere una condizione del tutto normale e non eccezionale. Se così non fosse, torneremmo al concetto dell’arena romana gremita di pubblico che assiste ad un massacro, per poi decidere con il pollice della vita di “belve” e gladiatori a seconda del loro coraggio.
L’esaltazione delle gesta degli Animali ribelli contribuisce paradossalmente a scavare un solco profondo tra chi si distingue divenendo meritevole di attenzione (l’eccezione), e chi non riesce ad uscire dal cono d’ombra dello specismo, sprofondando ancora più in basso (la regola).
Vorrei invece rivolgere il mio pensiero a tutti coloro tra gli Animali – e sono miliardi – che non hanno avuto la forza di ribellarsi, di reagire, di fuggire, forse nemmeno di urlare, ma che hanno sofferto e sono morti in silenzio o lontani dai nostri occhi e dalle nostre orecchie, rimanendo fino alla fine anonimi, disperati e privi di ogni considerazione. E’ a questa immensa moltitudine nascosta e indifesa che dovremmo sempre pensare, perché la vera tragedia sta nella loro assoluta condizione di sottomissione nei confronti di chi infligge ogni sorta di torture per soddisfare i propri interessi.
L’antispecismo è nato per considerare finalmente gli esseri invisibili, gli ultimi tra gli ultimi: più sono lontani da noi e invisibili, più vanno posti al centro dei nostri pensieri. Così dovrebbe essere.
Adriano Fragano
Foto di Fernando Cavalcanti
Alcune precisazioni:
Parlare di ribellione animale in senso generale è importante, perché mediante tale argomento si dimostra che gli Animali hanno una loro precisa volontà, autonomia decisionale e aspirano alla libertà esattamente come noi Umani. Ma è opportuno sottolineare che inevitabilmente ciò nella realtà viene banalizzato e ridotto ad personam, ossia il concetto che passa non è la ribellione animale, ma la ribellione di UN Animale in particolare che diviene protagonista di una sua precisa vicenda e che attira l’attenzione dell’opinione pubblica.
Un punto da considerare è che se c’è un tentativo da parte antispecista di “utilizzare” singoli esempi di ribellione animale per mettere in luce lo sfruttamento animale, molto probabilmente esso potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang. Per esempio la storia di un toro che fugge e viene accolto infine da un santuario per Animali è chiaramente eccezionale (ancora di più lo è il lieto fine), la quasi totalità dei tori come lui, purtroppo non scappa e finisce al mattatoio e se qualcuno accenna anche al minimo moto di ribellione, viene prima ferocemente punito e infine ucciso.
La situazione di indubbia eccezionalità che stuzzica l’interesse dei media e dell’opinione pubblica specista, alimenta una dicotomia già esistente tra conosciuto e sconosciuto, tra famoso e anonimo, permettendo con maggiore facilità di continuare a sfruttare chi è anonimo e al contempo di “premiare” chi si ribella e diviene protagonista: banalmente l’eccezione che conferma la regola. Questo a ben pensarci lo si è sempre fatto, anche per gli schiavi umani e ciò non ha mai significato una critica dell’istituzione della schiavitù. Gli antichi romani (sempre loro) “premiavano” gli schiavi più valorosi, colti e capaci dando loro la libertà, li chiamavano “liberti”, accadeva anche molto più di recente negli USA al tempo della schiavitù.
Nella società dello spettacolo in cui siamo immersi, gli Animali ribelli non sono solo soggetti, ma diventano dei PERSONAGGI ad uso e consumo dei media e di chi conferisce loro caratteristiche eccezionali, che li rendono unici e sostanzialmente “superiori” agli altri Animali della spessa specie che invece muoiono nel perfetto anonimato, magari per finire nel piatto degli stessi che si commuovono e mobilitano per i loro conspecifici ribelli.
Pensare che gli Animali ribelli possano fungere da “ambasciatori” per denunciare la sofferenza e lo sfruttamento dei loro simili, non solo è ingiusto nei confronti dei ribelli stessi, ma addirittura dannoso, o nella migliore delle ipotesi inutile, per la causa liberazionista.