Riporto – con ritardo di cui mi scuso – quanto si scrive alle pagine 80 e 81 del Notiziario n° 2/2016 del Movimento Antispecista. A seguire una mia risposta.
Notiziario n° 2/2016 del Movimento Antispecista
Recensioni e interviste
A. Fragano – Proposte per un Manifesto Antispecista – Ediz. NFC, 2015.
“Un futuro antispecista non è sinonimo di “ritorno alle origini” o di primitivismo, ma di uso responsabile e coerente delle conoscenze umane, della scienza e della tecnologia utilizzate per convivere e non per sfruttare, per la costruzione di una società orientata alla maggior integrazione e coesistenza pacifica possibile tra i viventi”. Con queste parole termina la proposta di Adriano Fragano di “delineare l’identità antispecista, al fine di permettere migliori e più precise modalità di intervento nei rapporti umani intraspecifici e interspecifici”. Nella prima parte del testo (v. www.manifestoantispecista.org), la definizione di antispecismo quale movimento filosofico, politico e culturale che respinge la discriminazione basata sulla specie, auspicando una trasformazione profonda dei rapporti tra umani e non umani, conferma quanto nel “Manifesto per un’etica interspecifica” (v. www.movimentoantispecista.org >Manifesto) viene proposto al primo capoverso. Ossia che umani e non mani hanno gli steso diritti, in quanto esseri senzienti, alla vita, alla libertà, al rispetto, e al benessere. Con la sola differenza che in quest’ultimo è aggiunta la frase “nell’ambito delle esigenze della specie di appartenenza”.
Apparentemente scontato, il concetto crea in effetti una differenziazione tra “esigenze” e “non esigenze”, rinunciando quindi ad un appiattimento sui “diritti” che metterebbe sullo stesso piano la voluttà, ovvero l’ingiustificata “voglia” di un individuo verso la sua reale necessità biologica. Questa differenza si comprende meglio quando si affronta il tema della “liberazione animale”, intesa dall’autore come “un radicale ripensamento e un conseguente cambiamento della società umana”. Non analizzando a fondo le esigenze della specie di appartenenza, infatti, si trascura il fatto che fino alla seconda metà del 1900 le “esigenze” della società umana comprendevano l’assunzione di uno specifico nutriente (la vitamina B12) principalmente dai prodotti di origine animale, avvalorando quindi l’assunto che tale “parità di diritti” sia sempre stata possibile. Questa impostazione ha dato origine alla teoria dello sfruttamento dei non umani basata sullo stesso principio dello sfruttamento degli umani (teoria del dominio) mentre a nostro avviso esiste anche una causa biologica che differenzia i due tipi di sfruttamento. Tale causa ha impattato notevolmente sulla psiche umana tanto da generare poi quella forma di discriminazione verso i non umani caratterizzata dall’antropocentrismo, fatta propria da certe religioni, fino a trovare “giustificazione morale” nella presunta differenza “ontologica” tra la specie umana e le altre. Senza nulla togliere al merito dell’opera, che si orienta verso la “creazione di una specie umana più giusta, solidale, orizzontale, libera e compassionevole, che si potrebbe definire aspecista, … o meglio ancora società umana libera”, tale “liberazione”, non umana, non sarebbe infatti oggi possibile senza il livello di conoscenza raggiunto dalla chimica e dalla biologia nel XX° secolo. Ragion per cui gli umani (almeno quelli di oggi, con la nostra agricoltura ormai non più naturale) sarebbero ancora costretti ad allevare “animali” quale loro “fonti essenziali” alimentari, con buona pace dei principi morali aspecisti. Gli induisti, i buddisti, i jainisti, fino al 1956 (data di scoperta della B12) forse potevano farne a meno, alimentandosi con frutta e verdure non lavate, contenenti i batteri che la sintetizzano, ovvero ingerendo litri di latte al giorno (da cui la mucca “sacra” per l’induismo). Quelli di oggi, non crediamo possano fare altrettanto. Certo gli “antichi” non ne conoscevano le ragioni scientifiche, ma vedevano benissimo gli effetti di una dieta povera o assente di prodotti di origine a animale, quali il rachitismo, la pazzia, l’anemia, ecc.. Grazie alla scienza oggi sappiamo ovviare a tale necessità biologica, “liberando” l’umanità e le altre specie da una “schiavitù” reciproca. Ben venga quindi la proposta di un “Manifesto Antispecista” che unisca la liberazione animale a quella umana, come l’autore auspica, estendendo l’attivismo aspecista alla politica sociale, per comprendere umani e non umani in questo disegno di liberazione da tutte le schiavitù, dando origine ad un “cambiamento socio-culturale epocale che elimini le spinte discriminatorie, liberticide, violente nei confronti dei più deboli”. Una nuova era si affaccia quindi all’umanità, che a nostro avviso non dovrà però dimenticare la sua origine “predatoria” per non trasformare il movimento universale di liberazione in una crociata contro quanti – ancora ignari o incapaci di evolversi per ragioni storico-culturali – difendono quei principi di dominio e di violenza dei quali sono anch’essi vittime. L’apertura “all’altro”, indicata come principio base della filosofia aspecista dall’autore, e il riconoscimento dell’alterità, vanno quindi sempre visti a nostro avviso nell’ottica dell’evoluzione della specie (umana), e non nel cambiamento dovuto semplicemente al desiderio di giustizia, concetto assente in una natura pre-morale alla quale, come afferma Fragano nella Prefazione, non si può e non si vuole ritornare.
M.T.
La mia risposta:
Non è mia abitudine avventurarmi in discussioni su argomenti che esulano le mie competenze, pertanto del caso del ruolo della B12 nell’alimentazione vegana, preferisco non discutere se non per affermare semplicemente che ciascuno individuo umano risponde in modo diverso all’assunzione di tale sostanza, e che la sua produzione non è l’unico elemento che possiamo considerare come “spartiacque” per quanto riguarda l’affrancamento della specie umana da determinate problematiche alimentari.
Ciò che reputo sicuro è che attualmente è possibile vivere senza dover sfruttare gli Animali per fini alimentari – e anche per qualsiasi altro fine – e tale constatazione è sufficiente per poter avviare una vera rivoluzione culturale della società umana. E’ chiaro che tale situazione non è sempre verificata nel passato della nostra specie, non bisogna però cadere nell’errore di pensare che lo sfruttamento animale si sia limitato solo ed esclusivamente a questioni alimentari: il concetto di controllo e dominio umano sugli altri Animali ha origini remote e complesse e se in alcuni casi lo si può spiegare considerando particolari esigenze fondamentali, in moltissimi altri casi non è così, ciò a prescindere dalle conoscenze scientifiche e tecnologiche.
E’ opportuno anche sottolineare che il concetto di dominio – come del resto quello di libertà – ha una valenza assoluta, pertanto è chiaro che gli intenti, le modalità e i fini del dominio sugli Animali sono identici a quelli del dominio sugli Umani, ciò a prescindere dalla necessità di sopravvivere di chi pone in essere tali pratiche: le questioni sono sostanzialmente diverse.
Per quanto concerne la soluzione delle nostre esigenze alimentari di specie, il problema è sicuramente più vasto di quanto fino ad ora esposto, perché se è vero che abbiamo avuto un passato di cacciatori-raccoglitori, è altresì vero che la nostra anatomia e la nostra fisiologia ci raccontano di un passato ancora più lontano – e molto più ampio del precedente – di raccoglitori frugivori. Come evidenziato dall’amico Massimo Terrile nel testo riportato dal Notiziario, non concepisco un ipotetico futuro aspecista umano come una sorta di mero ritorno alle origini, ma senza dubbio la conoscenza che abbiamo accumulato su noi stessi e sugli altri viventi, ci aiuterà a riscoprire finalmente un nostro aspetto fondamentale che la civiltà umana pare aver voluto seppellire: la nostra vera animalità che ci permetterà – senza filtri e sovrastrutture – di reinserirci in un ambito finalmente naturale, impattando il meno possibile sugli altri. In questo senso possiamo parlare di una riconsiderazione delle nostre origini in chiave moderna.
A questo proposito mi piace citare un interessantissimo e – purtroppo – poco conosciuto libro a cura di Carlo Consiglio e Vincenzino Siani dal titolo “Evoluzione e alimentazione. Il cammino dell’uomo” edito da Bollati Boringhieri nel 2003, in cui si dimostra, con dovizia di particolari e una mole imponente di dati scientifici, che l’onnivorismo come pratica alimentare è un’acquisizione recente della nostra specie, ciò inevitabilmente va a cozzare con la teoria “biologica” di cui si parla nel testo del Movimento Antispecista. Quindi se proprio di differenziazione tra sfruttamento intraumano e sfruttamento degli Animali si vuole parlare, è probabile che si debba trovare altrove una motivazione di tale differenza.
Se lo studio della nostra e dell’altrui natura sarà realmente indirizzato alla conoscenza e non alla mera ricerca di nuove forme di sfruttamento come avvenuto sino ad ora, sarà possibile svincolarci da una serie di impostazioni e di “schiavitù” che ci permetteranno di compiere davvero un passo evolutivo che ormai appare del tutto necessario e inevitabile. Un passo che partirà da una diversa considerazione del nostro rapporto con gli Animali e con la natura tutta.
Concludo ringraziando di cuore Movimento Antispecista per l’interesse dimostrato e per il lavoro che porta avanti da anni che ha sicuramente fatto parte della mia formazione antispecista.
Adriano Fragano