Fonte Veganzetta
Di seguito il testo della conferenza tenuta da Mario Cenedese collaboratore di Veganzetta, il 13 dicembre 2013 a Treviso.
L’articolo compare nel numero 23, gennaio-febbraio 2014, del Quaderno dell’Associazione Eco-Filosofica
CRITICA DELLA TECNO-CULTURA E DELLA CIVILIZZAZIONE : PROSPETTIVE PER UN PARADIGMA ANTISVILUPPISTA
(Relazione presentata al Corso di Ecologia del 13 dicembre 2013 – Scuole Martini – TV).
Si precisa che , oltre ad autori che fanno riferimento alla Scuola di Francoforte quali Horkheimer, Adorno, Benjamin, Marcuse e Anders, oltre a Foucault, Debord, Deleuze, Ursula Le Guin, Luce Irigaray, Meillasoux, Sahlins e Clastres, Bataille, Virilio, Mumford, Freud, Heidegger, fanno da sfondo a questa dissertazione soprattutto i lavori di Enrico Manicardi ( Liberi dalla civiltà e L’ultima era, entrambi della Mimesis) e, in particolare, quelli di John Zerzan ( Il crepuscolo delle macchine, Nautilus).
In primis, si sottolinea che la civilizzazione è quel processo iniziato nel Neolitico 10.000 anni fa che ha prodotto l’addomesticamento di piante e animali ( mediante l’agricoltura e l’allevamento), l’urbanizzazione, il patriarcato e la differenza di genere, il linguaggio simbolico e la scrittura, la guerra, originata dalla logica di espansione della dinamica urbana, la modernità, il produttivismo, lo sviluppismo ad oltranza, il progresso. La tecno-cultura, nozione non lontana da quella di tecno scienza, è la cultura materiale della civilizzazione, è la pianificazione operata dalla ratio calcolante (Heidegger), dalla ragione strumentale ( Horkheimer, Adorno), forme ‘militari’ del dominio della civilizzazione, corrisponde, quindi, per certi versi, all’apparato tecnico-scientifico (E. Severino). In breve, si tratta del paradigma del dominio della civiltà e della cultura sulla natura, che Hobbes e altri filosofi moderni vedono come un’eterna fonte di pericoli terrificanti da sottomettere, vincere e controllare, per cui si giustifica la gerarchia fra umani e non-umani, la creazione non di rapporti di reciprocità , ma di pratiche di sottomissione e di assoggettamento. Così il vivente viene ridotto a fattore produttivo. Se, come osserva Walter Benjamin, dobbiamo scardinare il continuum della storia, del tempo visto come omogeneo, uniforme, oggettivo, vuoto, se dobbiamo opporci al progresso storico fatto di tempo divenuto una lovecraftiana materialità che regola e misura, imprigiona la vita, dobbiamo liberare il tempo da queste interpretazioni per restituire le cose alla loro vera durata. Antropologi come Marshall Sahlins sostengono che nei due milioni di anni precedenti la civilizzazione, la nostra Terra ci ha favorevolmente accolti, in un regime di sottoproduzione e di opulenza – abbondanza, quando i bisogni erano minimi, cioè naturali. Inoltre, la critica alla civilizzazione è l’asse portante della Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno , come esemplificato nell’immagine chiave di Odisseo che rimuove la voce desiderante e liberatrice dei propri impulsi libidici facendosi legare al palo della nave e reprime i propri compagni, suoi operai subalterni, impedendo loro di vedere –li benda- e udire il canto erotico delle Sirene, tappando loro le orecchie con la cera di Circe. Giunti al punto in cui ci troviamo, come possiamo uscire dalla civiltà?
Non basta certamente definirci alternativi o antagonisti, disobbedienti : bisogna fare dell’antagonismo alla civilizzazione uno stile di vita. Non è sufficiente neppure adottare la fuga dalla civiltà attraverso la cosiddetta pratica dell’esodo in forme di vita comunitaria. Infatti, è la mentalità civile che opera surrettiziamente, non solo i burattinai dell’Establishment.
Per decostruire questo mondo civilizzato (antropocentrico, meccanicista, sessista, tecno culturale) è necessario, perciò, decivilizzare noi stessi, decivilizzare il nostro immaginario, dobbiamo cominciare a far crescere dentro di noi una consapevolezza critica verso l’universo civilizzato che ci sovrasta, in modo da poter smantellare dentro di noi la forma mentis della tecno-cultura, a partire, ad esempio, dalla falsa neutralità della tecnologia, per renderci coscienti delle trasmutazioni dell’umano in macchina ( homo cyborg, secondo Gunther Anders, Philip K. Dick, Ray Bradbury).
SCRITTURA E LINGUAGGIO SIMBOLICO
Come osserva John Zerzan ne Il crepuscolo delle macchine, intorno al 4.500 a.C. in Medio Oriente cominciarono a comparire gettoni di creta incisi, registrazioni delle transazioni economiche e inventari delle scorte agricole. Cinquemila anni dopo, il perfezionamento dell’alfabeto ad opera dei greci ultimò la transizione verso i sistemi di scrittura moderni. Oggi lo strumento simbolico del linguaggio viene largamente percepito come una prigionia che definisce ogni cosa, anche se non è sforzo da poco immaginare quale poteva essere la facoltà cognitiva degli esseri umani prima che il linguaggio e il pensiero simbolico si impadronissero di una parte così ampia della nostra coscienza, della nostra intelligenza, delle nostre capacità percettive e sensoriali : non dimentichiamo che spesso , bambini che disegnano molto bene non riescono più in questa attività dopo aver imparato a leggere e a scrivere in I^ elementare ( deprivazione sensoriale e culturale).
La grammatica di ogni lingua –continua ancora John Zerzan, riprendendo concezioni di Benjamin Lee Worff e di Paul Karl Feyerabend – è una teoria dell’esperienza e un’ideologia. Stabilisce regole e limiti e fabbrica le lenti monodimensionali ( H. Marcuse) attraverso cui vediamo ogni cosa : oggi la mente umana è vista come una macchina alimentata dalla grammatica e dalla sintassi. Già nel Settecento la natura umana era descritta come un tessuto fatto di linguaggio : il linguaggio effettua una separazione che porta a un’assenza di luogo, come per Michel Foucault, secondo il quale il discorso non è semplicemente ciò che traduce le lotte o i sistemi di dominazione, ma ciò per cui, attraverso cui si lotta, ricordando in questo un certo Heidegger. Le radici dell’attuale crisi spirituale affondano in una dinamica di distacco e separazione dall’immediatezza : è questo il luogo del simbolico. Cartesio, con la famosa dualità corpo-mente, ha prodotto un metodo filosofico per la modernità, un metodo basato sulla rimozione della corporeità. Anche il cosiddetto reale viene condotto a nientificarsi, omologato entro modelli-standard creati dal linguaggio, dalla sua potenza riduzionistica. L’esistenza del periodo pre-civilizzazione è stata giudicata irrilevante e lo stile di vita degli indigeni è dovunque ridotto in trincea a causa della dilagante sopravvalutazione del simbolico da parte della civilizzazione. La cultura simbolica si muove verso l’astrazione, richiede che rinunciamo alla nostra natura animale a vantaggio di una natura umana fabbricata simbolicamente. Oggi sono divenute simboliche addirittura le economie, strutture materiali par excellence secondo Marx, sono immateriali le transazioni finanziarie, lo stesso denaro, non ci si sporca più le mani con i soldi nell’universo asettico delle carte di credito…. Anche il legame sociale ha assunto una natura essenzialmente linguistica-astratta. Eppure , c’è stato un tempo – come suggerì Freud – in cui il mondo intero era animato. In effetti, spesso gli anziani indigeni rifiutano le registrazioni audio e video, sostenendo che quanto hanno da dire deve essere comunicato de visu. Il linguaggio, per sua essenza, restringe, deforma, tradisce le cose che rappresenta, ne provoca una torsione che semplifica, stravolgendone il senso, zippa, possiede inoltre una qualità standardizzante che avanza di pari passo col progresso tecnologico : la tipografia ha eliminato i dialetti, creando standard unificati per la comunicazione. Come sappiamo, l’alfabetizzazione, al servizio del progresso economico, aveva come scopo il rafforzamento della coesione socio-culturale dello stato-nazione. Il linguaggio è una forza produttiva. Come la tecnologia, non è sottoposto al controllo sociale. In definitiva, ma per non concludere, i transiti simbolici ci affidano una dimensione arida, profondamente anti-spirituale, sempre più vuota e fredda.
PATRIARCATO, CIVILIZZAZIONE, ORIGINI DELLA DIFFERENZA DI GENERE
Fondamentalmente, dice John Zerzan, anarcoprimitivista americano di chiara origine veneta, se ci è consentito usare il termine “origine”, dato che Deleuze, Derrida, Foucault, tutti inequivocabilmente nietzscheiani antifondazionalisti non sarebbero d’accordo, la civilizzazione è la storia del dominio sulla natura e sulle donne. Patriarcato, infatti, significa dominio sulle donne e sulla natura.
Ursula Le Guin, l’autrice intrascendibile de I reietti dell’altro pianeta, un libro che tutti, “prima di morire”, dovrebbero leggere, così scrive in un testo di eco-femminismo :
“L’Uomo Civilizzato dice : Io sono Io, Io sono il Signore, tutto il resto è l’altro – al di fuori , al di sotto, inferiore, subordinato. Io possiedo, io uso, io esploro, io sfrutto, io controllo. Quello che faccio è ciò che conta. Quello che voglio è la ragione per cui esiste la materia. Io sono quel che sono. Il resto sono donne e natura selvatica, da usare come ritengo opportuno”.
In molti credono alle società matriarcali, ma non c’è antropologa o archeologa che ne abbia trovato le prove. Antropologhe come Nancy Tanner hanno corretto lo stereotipo dell’uomo caccia-raccoglitore preistorico a favore di una donna raccoglitrice : l’80% del sostentamento proveniva dalla raccolta, solo il 20% dalla caccia! Nelle società di raccolta vi era egualitarismo tra uomo e donna, un rapporto paritario, rapporti di reciprocità, non pratiche di sottomissione e di assoggettamento. Eppure, dal Neolitico, dalla creazione di agricoltura e allevamento (addomesticamento di piante e animali), la svalutazione della donna pare universale. Nella vita sociale esiste una divisione fondamentale secondo il genere, che produce una evidente gerarchia. I dualismi più radicali, quelli tra soggetto e oggetto e mente-corpo, sono un riflesso della separazione dei generi ( Jane Flax). Si tratta di una classificazione radicata nella divisione del lavoro lungo linee sessuali. Il genere introduce e legittima l’ineguaglianza e il dominio. I raccoglitori condividevano la raccolta e la preparazione del cibo, così come la responsabilità nella cura della prole. La gerarchia nelle società agricole e di allevamento animale è inerente al rapporto di parentela che diviene rapporto di produzione : si creano ruoli specializzati che sono all’origine della disparità di genere , che sfociano in ineguaglianze, nella privatizzazione della cura della prole. Il genere, secondo Luce Irigaray, è, come il sistema di parentela, un costrutto culturale stabilito al di sopra e contro i soggetti biologici. Circa 35000 anni fa nelle pitture rupestri erano presenti segni femminili e maschili . L’attività veniva collegata al genere : ruolo maschile del cacciatore, così come gelosia sessuale e possessività. Per i Bimin di Papua-Nuova Guinea, l’essenza maschile è legata alla forza e alla guerra, al rituale e al controllo. L’essenza femminile, d’altra parte, è selvaggia, impulsiva, sensuale e ignora il rituale. La presenza o assenza del rituale è fondamentale per l’assoggettamento della donna. L’ascesa simultanea della cultura simbolica e della vita divisa per generi indica l’allontanamento da una vita non separata e non gerarchizzata. Come sostiene l’antropologo Meillasoux, in natura niente spiega la divisione sessuale del lavoro, né istituzioni quali il matrimonio, la coniugalità, la filiazione paterna : vengono tutte imposte alle donne con la coercizione, perciò sono tutti fatti legati alla civilizzazione.
A parte i Nativi Americani che sostengono il valore intrinseco della foresta selvatica non addomesticata, oltre il valore d’uso e di scambio di qualsiasi ente, il luogo di trasformazione del selvaggio in forma tecno – culturale è il domicilio, dove le donne vengono progressivamente rinchiuse. L’etimo stesso di “addomesticamento” indica la domus,la casa, ambiente che produce lavori faticosi, diminuita robustezza fisica della donna rispetto a quando raccoglieva ( la taglia 38 è tipica dell’addomesticamento della donna in casa), figli più numerosi : sono caratteristiche delle donne del Neolitico, delle società agricole. Inizia la distinzione tra lavoro e non lavoro, perciò le donne vengono definite passive, come la natura. L a mitologia registra la posizione degradata della donna : nella Grecia di Omero la terra incolta ( non addomesticata dalla coltura del grano) era considerata femminile, dimora di Calipso, di Circe, delle Sirene che indussero in tentazione Odisseo per distoglierlo dalle fatiche della civilizzazione, per impedirgli di tornare a casa, per aiutarlo a realizzare la conoscenza suprema, il samadhi, l’unione con l’Uno-Tutto, il ritorno nel Grande Flusso. L’ultima sua possibilità, dopo la rinuncia alla discesa nel mondo infero, dopo la rinuncia a tuffarsi verso le Sirene ( come fece Bute, l’apicoltore nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, poi “salvato” da Afrodite che ne fece un suo amante per ingelosire Adone), è costituita dall’Antro delle Ninfe all’approdo a Itaca , che secondo Porfirio rappresenta la sede della conoscenza suprema, conoscenza delle Ninfe, secondo Platone. La storia della civilizzazione, osservano Horkheimer e Adorno ne la Dialettica dell’illuminismo, è la storia di una rinuncia, della repressione-rimozione degli impulsi primari libidici e della repressione esterna dei subalterni, donne in primis e natura selvaggia, oggetti del dominio maschile. Il mito tradisce pure una coscienza sporca, come nel caso di Prometeo e di Sisifo : l’agricoltura vista come violazione, come attestato dalla prevalenza dello stupro nelle storie di Demetra, dea delle messi agricole. Nel Genesi la donna nasce dal corpo dell’uomo, mentre la cacciata dall’Eden indica la fine dell’esistenza basata sulla raccolta e l’inizio del lavoro faticoso dell’agricoltura. Sempre nel Genesi, la colpa della cacciata dall’Eden, l’allontanamento forzoso dal periodo della raccolta, sembra sia data ironicamente alla donna : sappiamo che l’addomesticamento si realizza per la paura e il rifiuto della natura selvaggia e della donna ( nelle società agricole), mentre il mito del Giardino addossa la colpa alla vittima di questa storia ( la donna).
ORIGINI DELLA GUERRA
La guerra è uno dei prodotti principali della civilizzazione. Senza lo Stato non ci sono guerre. Invece, sostengono i partigiani della tecno-cultura, senza il monopolio della violenza da parte dello stato, saremmo tutti indifesi e insicuri, nello stato di natura in cui, osserva Hobbes, domina la guerra di tutti contro tutti e l’uomo è un lupo verso l’uomo. Solo dopo la metà del Novecento questa visione pessimistica della natura umana cominciò a cambiare grazie al contributo di alcuni antropologi come Marshall Sahlins e Pierre Clastres : prima della civilizzazione, per due milioni di anni, gli uomini hanno vissuto senza guerre, fino a 10.000 anni fa, fino all’addomesticamento, fino alla creazione di agricoltura, allevamento, urbanesimo, linguaggio simbolico . Nelle pitture rupestri dei caccia-raccoglitori non compaiono scene di battaglia. I nativi americani della California, popolazioni di raccoglitori, sospendevano le ostilità se qualcuno rimaneva ferito. Tra i boscimani prevale l’idea che combattere è molto pericoloso, qualcuno potrebbe rimanere ucciso. Comunque, la prima testimonianza archeologica attendibile di guerra risale a 7.500 anni fa : la Gerico fortificata di prima della Bibbia. La guerra è il frutto della cultura simbolica, astratta : il simbolico, infatti, astrae dalla realtà, standardizza, comprime il vivente, cancella le particolarità, riduce tutti i tratti specifici : è più facile indirizzare la violenza, la guerra, contro un nemico senza volto, astratto, che rappresenti un male, un pericolo sociale. Il rituale è la più antica forma conosciuta di attività simbolica, che prepara la guerra. Il rituale è un modo per rispondere a carenze di coesione e solidarietà, per garantire l’ordine sociale. Secondo René Girard, i rituali del sacrificio sono una risposta all’aggressività e alla violenza sociale. Invece, osserva John Zerzan, è l’opposto : è proprio il rituale che legittima la violenza. Le culture non addomesticate, senza agricoltura, non conoscono il rituale, non conoscono il sacrificio di animali, né sacrifici umani. I cavalli rappresentano un tipico esempio del legame tra addomesticamento e guerra : sottratti allo stato selvaggio per la prima volta nel 3000 a. C. in Ucraina, sono stati trasformati in macchine da guerra.
La spinta a ricercare nuove terre da sfruttare è la causa principale della guerra nel corso della civilizzazione : l’urbanesimo ( la città, la cultura cittadina) sta all’origine della guerra . Infatti, già le città della Mesopotamia al tempo di UR, nel 4.500 a. C., erano sempre in lotta tra di loro per l’atteggiamento espansionistico della dinamica cittadina, perché la città ha bisogno di un surplus di produzione agricola e, con le carestie, la guerra è inevitabile per rubare ( prelievo forzoso) a chi ha più provviste cerealicole. Sempre nel 4.500 a. C., si registra la presenza di una casta militare, di eserciti permanenti in Medio Oriente. L’ideologia militare guerriera produce inoltre una ulteriore svalutazione delle donne : la guerra assume il carattere di attività nel suo specifico maschile, le stesse iniziazioni maschili sono connesse alla guerra. Nelle società guerriere la poligamia da parte dei maschi è generalizzata, assente, invece, nelle bande di caccia-raccoglitori. Con la formazione dello Stato, l’idoneità alla guerra divenne un requisito fondamentale per ottenere la cittadinanza, escludendo le donne dalla vita politica. Si osserva poi che l’ordine delle formazioni militari è standardizzato : colonne e righe, assomiglia in modo singolare all’agricoltura e ai suoi filari. Linee di un reticolo, controllo e disciplina ritroviamo, dunque, sia in agricoltura che nell’esercito.
Per Marshall Sahlins, la stessa cultura genera la guerra : il carattere simbolico, impersonale della cultura, favorisce la guerra . Simboli di guerra sono inoltre le bandiere nazionali.
LA CITTA’
Le città costituiscono un’altra realizzazione della civilizzazione. In codeste costruzioni i cosiddetti non-luoghi sono diffusi ovunque e in forme standardizzate : centri commerciali, banche, autostrade, stazioni ferroviarie e metro, aeroporti, sale d’attesa aeroportuali ….Anche gli ospedali, le scuole, i grattacieli sono uguali dappertutto, a New York come a Shangai e a Tokyo.
Gli abitanti delle città si vestono tutti allo stesso modo : fenomeno di una omologazione planetaria dilagante. La città-mondo che sta crescendo, mcdonaldizzata ( il mondo sta diventando infatti un mcmondo), perfeziona la guerra contro la natura, cancellata a vantaggio dell’artificiale, riducendo le campagne a semplici ambienti, dépendance delle città, facendo così tornare di moda il villaggio globale di Marshall McLuhan. Tutte le città sono antitetiche al territorio. Le prime città furono costruite in Mesopotamia e in Egitto e furono caratterizzate dalla realizzazione di istituzioni burocratiche su vasta scala e dall’utilizzo delle eccedenze e dall’aumento dello sfruttamento delle terre in agricoltura per il proprio sostentamento. La realtà urbana, in cui si affermano rapidamente business, affari e commercio, dipende esclusivamente dal lavoro delle campagne per esistere. Per garantire la sussistenza delle città, i patriarchi fecero uso sistematico della guerra : all’estero, conquista, in patria, repressione. Le prime città-stato sumere ( in Mesopotamia : Ur e poi Uruk) erano in continuo stato di belligeranza tra di loro, come abbiamo già osservato, a causa del carattere espansionistico , tipico della dinamica cittadina.
Uruk, città maggiore della Mesopotamia nel 2700 a.C., aveva un doppio anello di mura lungo nove chilometri e fortificato da novecento torri. Del resto, Giulio Cesare definiva oppidum (guarnigione) le città della Gallia. Nel 3000 a. C. si registrano molteplici città capitali, sedi del potere statale : il dominio politico discende dalle città. Gli ambienti urbani diventano luoghi di incubazione-diffusione di malattie infettive, come peste e colera, sedi in cui incendi e terremoti producono effetti devastanti. Nella modernità, poi, il tempo stesso assume connotati cittadini, viene misurato dagli orologi delle cattedrali , scompare il tempo vissuto, sostituito dal tempo risorsa, materialità oggettivata, reificata. Alexis de Tocqueville nota spesso che nella realtà urbana gli individui diventano solipsistici, estranei, indifferenti tra di loro , se si incontrano, non si guardano, non si salutano. Durkheim mette in evidenza che il suicidio e la follia aumentano a dismisura nelle città. Secondo Walter Benjamin, paura, repulsione, orrore, erano i sentimenti provati, a causa della folla delle grandi città, da chi ci arrivava per la prima volta ( lo stesso effetto produceva New York allo scrittore di Providence Howard Phillips Lovecraft, come riporta Michel Houellebecq). La vita urbana non solo causa senso di solitudine e apatia sul piano emotivo, ma ossessiva puntualità, prevedibilità e precisione compulsiva vengono imposte agli umani dalle peculiarità delle forme di esistenza cittadine. Anche per Karl Marx il capitalismo è “urbanizzazione della campagna”. La civilizzazione, secondo la sua radice latina, è propriamente quel che succede in città. Attualmente, il 55% della popolazione mondiale vive in città. Sono mcdonaldizzanti tutte le città, anche gli ameni giardini pubblici urbani non cambiano il volto truculento delle città, volto estraniante e indifferente, abulico, segnale della universale passività della vita cittadina. Pure Max Weber sostiene che modernità e razionalità burocratica, nelle realtà urbane, sono a prova di evasione. Ancora, John Zerzan proclama che le città si migliorano soltanto radendole al suolo. Deprivazioni sensoriali , luce e rumore continui, monotonia esasperante, declino radicale del contatto fisico, sono aspetti che definiscono sempre più l’attuale vita cittadina. Lo spazio urbano, dunque, sembra rappresentare la sconfitta della natura e la morte della comunità.
ESCLUSIONE DALLA PRESENZA
“Nulla esiste al di là del testo” (Jacques Derrida). E’ difficile concepire qualcosa al di là della rappresentazione. Come in Cartesio, con il linguaggio il corpo si ritira, eclissandosi. La selvatichezza è imbrigliata dal codice, come osserva uno sciamano Cherokee, “ I Bianchi, con la scrittura, è come se catturassero un animale selvaggio e lo domassero”. Ray Bradbury, Philip K. Dick, Guy Debord sottoscriverebbero con malinconico entusiasmo la seguente asserzione di John Zerzan : “ Un turista proveniente da un altro pianeta esclamerebbe che la rappresentazione, oggi, è l’unica cosa esistente sulla Terra.”. Jean Baudrillard, riprendendo la nozione di feticismo della merce di Karl Marx, la sua astrattezza-separazione dal mondo materiale della produzione sociale nell’ambito del capitalismo, rileva che la merce corrisponde sempre più al cosiddetto valore-segno. Pure Martin Heidegger riconosce i pericoli del simbolico e della tecnologia, ma sostiene tout court che non si può fare niente perché nella grande casa accogliente dell’essere c’è spazio anche per la tecnologia.
McMONDO, CYBERMONDO MODERNO
Dobbiamo recuperare il tempo del vissuto prima dell’addomesticamento, contro il tempo storico, misurato, oggettivato, materializzato, che controlla e disciplina la vita . ( Walter Benjamin, Gunther Anders, Giacomo Marramao). La Modernità è massificante, standardizzante, globalizzante, ha prodotto un’espansione illimitata delle forze produttive che non ha tenuto conto della finitudine delle forze della natura. A partire dal Neolitico, si è verificato un aumento costante della dipendenza dalla tecnologia, la cultura materiale della civilizzazione. Come vedremo, secondo Horkheimer e Adorno, la storia della civilizzazione è storia di una rinuncia : si ottiene molto meno di quello che si immette. E’ questa la grande truffa della tecno-cultura (calco del titolo di un film musicale dei Sex Pistols, La grande truffa del Rock and Roll). Scomparsa la preminenza del luogo, sostituita dalla cultura da aeroporto : sradicata, urbana, omologata, la Modernità ha preso il volo e ha diffuso le proprie tracce a livello planetario. Sul significato della Modernità, suggestiva è l’allegoria di Walter Benjamin in Angelus Novus :
“ ( L’angelo di Paul Klee) ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che accumula rovine su rovine. Una tempesta spira dal Paradiso che si impiglia nelle sue ali, così forte che non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge nel futuro a cui volge le spalle, mentre il cumulo di rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo Il progresso è questa tempesta…” ( Tesi di Filosofia della Storia, 1940).
C’è stato un tempo in cui questa tempesta non spirava, quando la natura non era un avversario da conquistare e domare, prima della civilizzazione- per due milioni di anni – . Ma dobbiamo viaggiare a velocità sempre maggiore, sollevando raffiche di progresso alle nostre spalle, verso un ulteriore disincanto. Non possiamo continuare ad agire alle condizioni dettate dal nemico. Contro l’idea postmodernista dell’impossibilità di decidere, come condizione universale, contro Heidegger che , contro la tecnica, dice che non si può far niente, non possiamo concordare con Derrida, secondo cui siamo condannati ad essere nient’altro che le modalità attraverso le quali il linguaggio progredisce autonomamente. Contro il tempo vuoto, uniforme, omogeneo (Benjamin), bisogna dare spazio ad un presente non intercambiabile, irriducibile, fuori dai cardini del tempo- Kronos. Il progresso storico è fatto di tempo colonizzato, una mostruosa materialità che regola e misura il vivente. Il capitale mondiale vuole sfruttare tutta la vita a disposizione ( cfr. biopotere-biopolitica in Michel Foucault) . La globalizzazione ha solo intensificato quanto era già avviato prima della Modernità, non è una novità. Urbanizzazione, conquista del mondo, appartengono alla civilizzazione. Il villaggio globale di Marshall McLuhan è tornato di moda, stravolto : oggi stanno imponendo un solo McMondo. Il villaggio globale, mcmondo, è diventato un luogo terrificante, pieno di epidemie di ogni tipo. In esso, la presenza dell’assenza è virtuale.Nella comunità virtuale, network, si allontanano le persone con un semplice click del mouse. I sensi, la sensibilità senso-motoria, diminuiscono rapidamente le loro facoltà. La responsabilità è sepolta nel Museo Postmoderno delle Parole Perdute ( John Zerzan). Il contatto vivo, corporeo, relazionale, è sempre più raro. L’esperienza immediata viene sostituita da forme simulacrali . Marx ed Engels, nel Manifesto del Partito Comunista del 1848, prevedevano l’emergere di un mercato mondiale basandosi sui modelli di crescita, produzione e consumo della loro epoca. Marx, inoltre, sostiene la duplicità della tecnologia che si presta ad opposte possibilità di emancipazione e di dominazione : il filosofo-militante antagonista si schiera dunque dalla parte della neutralità della tecnoscienza. Il Postmodernismo, sovversivo e destabilizzante solo a livello estetico, afferma che non ci sono più luoghi fondativi. Confermando Spinoza quando diceva che viviamo in un tempo in cui prevalgono le passioni tristi, Derrida prorompe in continui lamenti, Maurice Blanchot esprime una perenne tristezza….L’Io Smemorato della tecnologia è in difficoltà a costituire un’identità duratura. La tecno-cultura, in effetti, porta all’isolamento dell’Io , sempre più solipsistico, producendo la decostruzione di solidarietà e autonomia.
PRIMITIVISMO?
Piero Barcellona ha molto insistito, nei suoi libri, sulla rottura del legame sociale. AIDS, Ebola, Legionella, Mucca Pazza : la tecnologia è impotente a controllare tutte le sue derive. In controtendenza rispetto al Postmodernismo, di cui era stato uno dei principali ispiratori, che ritiene non sia possibile fare nulla contro la tecnologia ( come Heidegger), Jean François Lyotard ne l’Inumano, 2001, afferma che la perdita degli affetti è causata dall’egemonia tecno-scientifica, dalla supremazia della Ragione Strumentale, facendo il verso ad Adorno, inoltre osserva che “con le megalopoli, ciò che si chiama Occidente realizza e diffonde il proprio nichilismo. Si chiama sviluppo.”.
Oswald Spengler, nazionalista reazionario, ne Il tramonto dell’Occidente si espone contro lo sviluppo tecnologico, sottolineando la natura prometeica della tecno-cultura e del produttivismo, il loro dominio sull’ambiente fisico. La critica della civilizzazione è lo spirito che anima la Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno, in particolare nell’immagine-chiave di Odisseo che occulta e censura, come abbiamo già visto, il canto erotico delle Sirene. Ne Il disagio della civiltà, Freud sosteneva l’impossibilità di una civilizzazione non repressiva. Diversamente, si corre il rischio di ripiombare nel pericolosissimo Stato di Natura hobbesiano. E’ necessario rinunciare a libertà ed erotismo, in cambio della sicurezza. Per Freud la civilizzazione permette all’uomo di vivere in un ambiente tendenzialmente ostile e insidioso. Trionfa, perciò, il pensiero di Hobbes, secondo cui la civilizzazione è la condizione più efficace per superare i gravi rischi dello Stato di Natura. Tuttavia, a partire dagli Anni Sessanta del Novecento,come abbiamo già anticipato, ha iniziato a manifestarsi un mutamento di paradigma : antropologi come Marshall Sahlins e Pierre Clastres, economisti come Karl Polanyi, assumono uno sguardo prospettico sulla preistoria molto diverso, alternativo rispetto al punto di vista di Hobbes. Due milioni di anni prima della civilizzazione, in quell’età aurorale, aurea secondo Platone, la vita in società non prevedeva addomesticamento di piante e animali, non guerre, non differenza di genere (patriarcato), non tecnologia, non dominio sulla natura. Prima del Neolitico : bande di società di raccoglitori godevano di molto tempo libero, autonomia, parità tra i sessi, basandosi su un’etica di uguaglianza e condivisione, compiendo lunghi viaggi a partire da ottocentomila anni fa.
SCIENZA E TECNOLOGIA NON SONO NEUTRALI
I non-civilizzati hanno fatto uso di utensili, non di tecnologia. Seguono vari esempi che distinguono nettamente gli attrezzi, gli strumenti, gli utensili, dalla tecnologia :
gli utensili non hanno mai lo scopo di conquistare elementi della natura, la tecnologia, invece, vuole dominare la natura. L’utensile è un tramite per una diretta partecipazione dei soggetti alla vita del mondo. La tecnologia è essa stessa un fine. In un mondo tecnologico non c’è bisogno di scopi, vale la tecnologia per se stessa,quasi fosse la cosa in sé. Lo strumento sviluppa particolari abilità ( es. : un arco, un boomerang….). La tecnologia si sostituisce a quelle abilità ed è correlata con altre tecniche che la giustificano. Tolti dal loro contesto tecnologico, gli oggetti-dispositivi tecno-scientifici non hanno alcun senso : un’antenna parabolica non serve a nulla senza ripetitore, un televisore senza chi trasmette è un vuoto simulacro. L’attrezzo ha sempre un significato in sé per un’attività sensoriale.
Come osserva Enrico Manicardi ( cfr. Liberi dalla civiltà e L’ultima era, Mimesis), la tecnologia ha come scopo il dominio, la vittoria, la conquista della natura. L’ attrezzo viene utilizzato anche da animali : molti uccelli si servono di bastoncini per estrarre cibo dalla corteccia degli alberi. La ghiandaia azzurra, poi, usa fogli di carta per raggiungere alimenti fuori dalla propria portata. Gli scimpanzé fabbricano spugne con foglie per pulirsi, usano stuzzicadenti, fronde per tenere lontane le mosche, mettono da parte utensili in previsione che servano per il futuro. Invece, i viventi umani sono i soli che usano la tecnologia, con il proposito di attuare una costante manipolazione della natura. Comunque, l’utensile non può essere infinitamente perfezionato, mentre la tecnologia, per sua “essenza”, non conosce limiti : tutto è possibile alla tecnologia, lo sostiene anche Emanuele Severino, filosofo italiano che non ha bisogno di presentazioni, quando parla dell’apparato tecnico-scientifico. Lo stesso M. Heidegger sottolinea che la betulla non oltrepassa mai le sue possibilità intrinseche, e che solo la tecnica fa violenza alla Terra. La categoria dell’impossibile assurge così a nuovo paradigma per il mondo stravolto dalla tecnologia, in cui la natura , l’universo vivo, i rapporti relazionali perdono di significato, ridotti a enti impiegabili a stretto uso e consumo della tecno-cultura. La natura diventa così nella sua totalità ipoteticamente sostituibile dalla tecnologia. Ad esempio, i raggi UVA, le radiazioni ultraviolette delle lampade abbronzanti sono considerati sostitutivi del Sole. La tecnologia non ha alcun riguardo per il vivente, ci rende deresponsabilizzati, irriguardosi, irresponsabili.
La tecnologia non è mai adattabile all’individuo : è l’individuo che deve adattarsi alla tecnologia. Se le scarpe n. 42 risultano larghe, se le scarpe n.41, d’altro canto, risultano strette, è il piede che è fuori norma, è il piede che deve dunque adeguarsi. Siamo tutti potenzialmente rimodellabili e già rimodellati dalla tecnologia : occhi con lenti a contatto azzurre o verdi o viola, cuore meccanico, microchips sottocutanee. E’ stato ormai perduto l’uso dei piedi : esempio lampante di deprivazione fisica e sensoriale. Rimaniamo posturalmente immobili, inclinati, piegati in modo innaturale di fronte al computer, tablet, consolle, sempre seduti come nella nota poesia di Rimbaud, Les assis. Abbiamo perso la stazione eretta, pur criticabile sul piano filosofico, anche se in modo improprio, come rappresentazione del patriarcato da Adriana Cavarero nel recente Inclinazioni, Raffaello Cortina, a partire dal mito della caverna di Platone che, secondo Cavarero, identifica l’erigersi dei prigionieri, l’ascesi verso livelli di conoscenza e livelli ontologici superiori come un progresso e riproduce così, con queste forme espressive legate alla verticalità, immagini della visione patriarcale …. Non si cammina più, non si dorme – i politici mainstream dormono tre ore per notte, e se ne vantano come esempio di bien vivre. Odori, colori naturali : non li distinguiamo più, se non con il filtro del computer. Non sopportiamo più il freddo e il caldo : al di sotto dei 15 ° accendiamo il riscaldamento – crisi economica permettendo—e respiriamo l’aria del condizionatore alla temperatura atmosferica di 29°. E pensare che fino a cento anni fa si viveva d’inverno senza il riscaldamento, fino a trenta anni fa d’estate non c’era il climatizzatore.
Si è perso il piacere di stare assieme, traccia, spia evidente di deprivazione relazionale : non ci incontriamo più tout court, più che altro chattiamo al computer, con tablet , smartphone e phablet.
Gli stessi John Zerzan ed Enrico Manicardi ammettono che sono ormai costretti ad utilizzare il linguaggio simbolico, il computer, tablet e smartphone, internet e network, mail e posta elettronica, alimentarsi con i prodotti dell’agricoltura, seppure biologica e vegana antispecifica, costretti per comunicare le loro idee e per vivere a servirsi delle armi del nemico. Del resto, anche chi è un antagonista radicale degli inceneritori respira e ne viene intossicato dalle stesse emissioni inquinanti. Anche chi è contrario all’automobile e alle autostrade è obbligato ad utilizzarle per le enormi carenze dei treni e dei mezzi pubblici in generale.
In estrema sintesi, secondo Jacques Ellul, la tecnologia è caratterizzata da tre aspetti essenziali : A) razionalità, B) artificiosità, C) automatismo.
A) La razionalità astratta sottomette quella empirica: in un universo tecnologico è conoscibile solo ciò che è traducibile in formule matematiche, in algoritmi.
B) La tecnologia produce un sistema, un ambiente artificiale.
C) Ogni realizzazione tecnica è quasi provvista di una vita sua propria, la rete tecnologica procede da sola.
Come osserva Gunther Anders, l’essere umano, così come ogni altro ente, viene annullato dalla tecnologia, e ridotto a macchina. Del resto, l’approccio razionale, quello della ratio calcolante, è divenuto l’unico modo di interpretare il mondo,secondo criteri di performatività ed efficienza, il pensiero unico. Secondo Umberto Galimberti, in questo universo scompare la relazione, rimane l’interattività tecnologica, si chatta, si ricevono informazioni da un terminale, predominano solipsismo , solitudine esistenziale, depressione psichica. I simulacri sono forme dominanti. Sempre per Galimberti, in Psiche e techne, l’intelligenza creata dalla tecnologia è convergente e binaria : convergente in quanto non critica, ma si adatta all’impostazione data al problema, non problematizza, non discute le premesse, il pre-testo nel linguaggio di Derrida ( ogni testo è un pretesto), al contrario dell’intelligenza creativa, o pensiero divergente; binaria : come nei test d’ingresso universitari, come nei questionari, come nei test Invalsi, in cui si deve rispondere SI’ – NO, VERO – FALSO, fabbricati secondo modelli standardizzati omologanti. L’intelligenza binaria è espressione del potere delle crocette, come negli esami di guida, come nel voto alle elezioni. Questo tipo di intelligenza indotta dalla tecnologia ci rende sbrigativi, schematici, superficiali, produce l’erosione di ogni capacità umana a partire dall’intelligenza senso-motoria, l’annichilimento della corporeità. Il corpo, cartesianamente vinto, sconfitto, può così essere separato dalla mente che, scaricata in una chiavetta USB, sopravvive in un file e raggiunge , finalmente, l’immortalità…. a dispetto del corpo che è organicamente debole, si corrompe, puzza, sporca, suda, si ammala, incartapecorisce, invecchia, addirittura muore! La tecnologia esprime la volontà di potenza di credersi immortale e superpotente (hybris), ente superpotente come il Dio della teologia. Non si fanno più passeggiate in montagna : si fa tristemente esercizio quotidiano al tapisroulant – mi si conceda l’espressione: che libido! La tecnologia, osserva Enrico Manicardi, rimpiazza funzioni vitali, la natura viene clonata e rimpiazzata, la voce umana rimpiazzata da voce artificiale cibernetica. Ne L’eclisse della ragione, Max Horkheimer riporta una domanda di suo figlio: “Papà, la Luna è réclame di che cosa?”.
Oggi fanno tendenza : seno al silicone, pomodori OGM, sensibilità simulata, cybersocialità, sessualità virtuale, vita digitale, non più tuffi, chiacchierate viso a viso, sono considerati “ fuori dal mondo” gli unici luoghi “dentro il mondo”, dove non c’è rete, dove il telefonino non prende, dove non arriva internet. La tecnologia sostituisce una realtà naturale imprevedibile, complessa, irriducibile alla ragione logica, con un rimpiazzo tecnologico controllabile. La motorizzazione ha impedito di andare a piedi o in bici in città, se non in macchina, autobus o metro. Chi poi avesse avuto l’idea brillante di avventurarsi a piedi o in bici nelle pericolosissime rotatorie, … probabilmente non è più tra di noi.
L’automobile è assolutamente non naturale: emette veleno-gas di scarico, usa strade e autostrade che hanno cementificato il territorio, scavato montagne e gallerie sotterranee, impedito la comunicazione tra comunità tradizionali, rovinato il paesaggio. L’automobile inquina non solo bruciando benzina, ma con i freni, con pneumatici, consuma risorse naturali ed è pericolosa: un milione all’anno di morti in incidenti stradali, a livello mondiale, eppure non fa paura. Se ci pensiamo, ogni volta che si sale in macchina potrebbe essere l’ultima. .. Invece abbiamo paura di dormire da soli di notte in un bosco…. Il progresso tecnologico ha assunto forme sempre più cogenti: registri elettronici a scuola, se vuoi collegarti con internet senza perderci ore devi essere sempre aggiornatissimo… Inoltre, l’inquinamento non si vede più ; le polveri sottili, che non si avvertono neppure con l’olfatto, sono più pericolose della benzina verde, che era più pericolosa di quella rossa. Anche le radiazioni nucleari non si colgono –subito – con i sensi. Il DDT sembrava compatibile con la salute dell’ambiente e degli enti umani, anche la pillola anticoncezionale, anche gli antidepressivi, anche i cortisonici, anche gli antibiotici, gli antiparassitari… Dopo ogni innovazione tecnologica, la gente ne diviene dipendente: automobili, tablet, smartphone, internet, riscaldamento, climatizzatore, non riusciamo più a vivere senza corrente elettrica. Abbiamo perso le nostre abilità manuali. Le nostre percezioni, la nostra intelligenza, la nostra sensibilità vengono rimodellate dalla tecnologia. Siamo ormai abituati ad essere videocontrollati da videocamere: attraverso il nuovo Panopticon, siamo tutti potenziali delinquenti e terroristi, secondo Michel Foucault. Come abbiamo già argomentato, siamo noi che dobbiamo conformarci alla tecnologia, che va avanti per conto suo e non si adatta all’individuo: la taglia 38, omologante, stabilisce la linea trendy del corpo. Dunque, taglia 38: magro, taglia 42: grasso. Purtroppo, le persone modificano il proprio corpo in base alla taglia trendy. L’uomo è diventato Homo Cyborg. La malattia è ritenuta una fatalità. In realtà, la colpa è da attribuirsi alla tecnologia, al vivere malsano in un ambiente inquinato e artefatto. La bioingegneria, la biogenetica vengono sviluppate per intervenire sulle malattie della civilizzazione attraverso la sostituzione di organi del corpo con organi cyborg, tipo il cuore artificiale, si giungerà presto alla clonazione umana. La manipolazione genetica continua ad imperversare con gli OGM. Inoltre, anche con il progresso dell’intelligenza artificiale, della memoria digitale, la tecnologia oltrepasserà definitivamente la condizione umana : il futuro è post-human, mentre l’ homo cyborg è già tra di noi, un’ibridazione di uomo e macchina, come avevano previsto Ray Bradbury e Philip K. Dick, che ipotizzavano il trasferimento della mente umana in contenitori cibernetici. Attuando una cartesiana vendetta sul corpo, l’umanità post-human è convinta di liberarsi dal dolore, dalla malattia, dall’invecchiamento, dalla morte, come abbiamo già osservato in precedenza.
DESTRUTTURARE IN NOI LE FORME DELLA CIVILIZZAZIONE PER LIBERARE IL MONDO DALLA CIVILIZZAZIONE
Molti pensano che l’autostrada ti porti dovunque, amplificando il senso di libertà, ma basta che venga in qualche modo bloccata, e l’autostrada diventa un universo concentrazionario, non ci esci più, con grande senso claustrofobico di angoscia e orrore. Se vogliamo superare l’insoddisfazione e il disagio della vita routinaria, manipolata, ipercontrollata, è necessario, come suggerisce Enrico Manicardi, non pensare più in modo civilizzato, producendo nella nostra coscienza una rivoluzione di paradigma, un riordinamento gestaltico. Bisogna poi fare dell’antagonismo alla civilizzazione e alla tecnologia una pratica di esistenza. Inoltre, contro il dominio della civilizzazione, che vuole vincere e conquistare la natura, trasformando il vivente in categoria produttiva, è possibile intervenire nella scuola, ultima riserva indiana in un mondo in cui prevale sempre più l’adesione acritica e omologante alle idee mainstream delle nuove leadership post-democratiche e in cui le minoranze illuminate vengono sempre più escluse e ridotte al silenzio. La scuola potrebbe diventare un luogo di costruzione di un sapere diffuso per creare una cittadinanza critica e non palestra per eccellenze, non ambito di celebrazione del merito e della meritocrazia, che è espressione della mentalità di dominio civilizzatore, di chi vince. Vincere è infatti equivalente a dominare. La meritocrazia sostituisce ai rapporti di solidarietà e di pariteticità le pratiche di sottomissione gerarchica e di competizione.
Mario Cenedese