I media di tutto il mondo in questo periodo riportano quotidianamente notizie terribili sull’esodo dei rifugiati che fuggono da conflitti armati, carestie e tirannie che devastano il Medioriente: la cosiddetta “rotta balcanica” è ormai divenuta tristemente famosa per le vergognose brutalità commesse dalle polizie dei Paesi della regione contro uomini, donne e bambini che tentano disperatamente di raggiungere l’Europa con ogni mezzo a loro disposizione.
Di fronte a immagini di pestaggi, deportazioni, arresti e muri eretti contro i migranti è facile sentirsi assalire da un misto di rabbia, impotenza e rassegnazione; nonostante ciò in mezzo a clamorose testimonianze di violenza, xenofobia, egoismi e di indifferenza nei confronti di esseri umani che lottano per la loro esistenza, spiccano le attività – spesso silenziose ma efficaci – di numerosi gruppi di persone umane che tentano di prestare soccorso e di aiutare chi scappa per salvarsi la vita. Sul sito web del settimanale Internazionale viene riportata ad esempio la notizia del gruppo Food Not Bombs Budapest che si prodiga per distribuire gratuitamente cibo vegetale, recuperato dai mercati ortofrutticoli locali, ai profughi afgani che hanno raggiunto piazza Blaha Lujz a Budapest: buon cibo che non è stato la causa dello sfruttamento e della morte di nessun Animale non umano – e che per il sistema consumistico globale rappresenta solo un rifiuto perché scartato dalla catena della grande distribuzione – per sfamare Animali umani in fuga da sfruttamento e morte, che per molti Paesi del nord del Mondo rappresentano poco più che dei rifiuti.
L’idea che chi si batte per la liberazione degli Animali dalla schiavitù umana abbia atteggiamenti misantropi è profondamente radicata nell’immaginario collettivo; di sicuro il comportamento, le affermazioni – soprattutto sui social media – di sedicenti animalisti che per condannare (giustamente) le atrocità che singoli Umani, istituzioni o Paesi commettono nei confronti degli Animali, giungono per assurdo a condannare stupidamente l’intera nostra specie auspicandone spesso la scomparsa (come se loro non ne facessero parte), non aiuta affatto a chiarire la questione. Sarebbe senza alcun dubbio utile soffermarsi e riflettere sul problema, se non altro per esplicitare la posizione antispecista a riguardo e per rendere merito a coloro, come il gruppo Food Not Bombs Budapest – un progetto ultra trentennale mai così attuale e necessario come al giorno d’oggi– che con le loro azioni dimostrano quotidianamente che è possibile lottare per l’ottenimento di un concreto e tangibile cambiamento sociale e culturale senza l’uso della violenza e senza omologarsi al sistema dominante.
In un periodo storico dove la paura del “diverso”, l’odio etnico o religioso, gli interessi economici e le contese geo-politiche fanno ergere muri, spianare fucili e bombardare intere popolazioni (è recente la notizia di un possibile coinvolgimento dell’Italia nei bombardamenti di postazioni ISIS in Siria), c’è chi ostinatamente procede contro corrente e propone un pasto caldo privo di crudeltà a coloro che non hanno di che sfamarsi. E’ un piccolo gesto dal valore politico immenso e dagli effetti potenzialmente dirompenti e destabilizzanti: il veganismo etico diviene realmente uno strumento di lotta antispecista (che proprio perché tale comprende e coinvolge a pieno titolo le persone umane discriminate per qualsiasi ragione e non solo le persone non umane) per dimostrare pubblicamente che la solidarietà, la compassione, la giustizia e l’empatia non sono elementi alieni alla nostra specie e che una rivoluzione che scardini il paradigma imperante è ancora possibile.
Quando pare non esserci fine alla violenza e all’ingiustizia, l’antispecismo mediante la pratica vegana etica rappresenta una chiara azione di protesta, un voler andare contro corrente, opponendosi a logiche discriminatorie e violente imperanti generalmente e supinamente tollerate.
Se qualcuno nutriva ancora dubbi su quanto il veganismo possa essere utile alla causa della liberazione animale e umana, quella di Food Not Bombs Budapest è una risposta chiara e forte. Il veganismo etico, lungi dall’essere una moda, un business, uno stile di vita o qualsiasi altra aberrazione causata dalla manipolazione della civiltà dei consumi, è concretamente una visione di una realtà divergente e come tale deve essere considerato e vissuto: possiamo e dobbiamo fare del nostro meglio per riappropriarci della nostra umanità in quanto animalità.
Adriano Fragano