“Gli studenti scendono in piazza per lo ‘sciopero globale’ contro i cambiamenti climatici. L’Italia ha risposto in maniera massiccia all’appello globale Fridays for Future: nessun simbolo politico, soltanto cartelli per chiedere un cambio di rotta sulle politiche ambientale e sullo sviluppo sostenibile. Sulla scia della sedicenne svedese Greta Thunberg, soltanto nella penisola sono in programma circa 200 eventi con manifestazioni in tutte le principali città. Lunghi cortei hanno già invaso Milano, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Palermo e Bari.”
Così apre un articolo di RaiNews sulle manifestazioni che si sono svolte oggi venerdì 15 marzo 2019 in numerose città del mondo. Lo “sciopero” contro i cambiamenti climatici divenuto ormai famosissimo pare attirare plausi e elogi da ogni dove: tutte/i siamo d’accordo, nessuno escluso. Sempre più studenti e giovanissimi si uniscono ai cortei e prendono parte alle varie attività su questioni che riguardano il surriscaldamento del pianeta, anche solo per questo motivo “Fridays for future” dovrebbe essere considerato un importante successo.
A ben guardare però la linea maggioritaria tenuta dai manifestanti pare essere qualcosa di paradossalmente molto vecchio: quella dell’appello alle istituzioni, ai governi, agli Stati e agli organismi sovranazionali, perché prendano provvedimenti affinché si rimedi alla catastrofe climatica ed ecologica in corso. “Governi agite il tempo sta scadendo” è il tenore delle frasi scandite dai cori e scritte su cartelli e striscioni; se realmente questo è ciò che la maggior parte di chi si è mobilitato si attende, allora molto probabilmente stiamo assistendo (e/o partecipando) a un fenomeno globale che si risolverà in una grandissima bolla di sapone.
Avanzare delle richieste, diciamo anche delle pretese, nei confronti di istituzioni e Governi, significa nuovamente delegare una legittima e imprescindibile attività politica e civica a rappresentanti e parti integranti di un sistema ecocida, liberticida e specista che è di fatto la causa del male che queste manifestazioni si prefiggono di sconfiggere. Significa altresì deresponsabilizzarsi evitando di dover attuare in prima persona i cambiamenti necessari.
Non si può certo pretendere dalle giovani generazioni di farsi carico di un disastro che è il risultato dell’azione sconsiderata e criminale di generazioni di Umani che le hanno precedute, ma al contempo è fondamentale che chi ha deciso di scendere per le strade (a prescindere dalla sua età anagrafica), capisca che il primo vero passo per un cambiamento sostanziale e duraturo è l’autocritica.
Ciò che ci sta accadendo intorno parte da dentro di noi: siamo noi (individui, masse, società, istituzioni e sistema) ad aver causato l’ovvia risposta negativa del pianeta alle nostre attività, siamo pertanto noi (ogni singolo individuo che applica e perpetua un modello adottato o imposto) a dover fare autocritica e a dover comprendere che quanto fatto sino ad oggi è un tragico errore. Scendere in piazza è fondamentale, riprendersi il diritto di esprimere un parere in pubblico, di comunicare con gli altri, anche solo di incontrarsi fisicamente è importantissimo, ma limitarsi a pretendere che siano gli altri – “i potenti” come urlano gli studenti nei cortei – a dover rimediare a questo enorme macello (in senso letterale) in atto a cui tutti partecipiamo, è ipocrita, inaccettabile e inutile.
Se vogliamo un reale cambiamento di rotta, siamo noi per primi a doverlo mettere in pratica. I dati, gli studi ed i pareri in materia di impatto ecologico sono anni che li conosciamo, è ora di prendere atto del fatto che come appartenenti a questa società umana predatrice, non siamo compatibili con l’ecosistema terrestre, per tornare ad esserlo è necessario riconsiderare ogni nostra pratica quotidiana.
Volendo entrare nello specifico basterebbe pensare a quanto poco si sta parlando (e adottando) una dieta a base vegetale nell’ambito ecologista e tra chi scende in piazza per gli “scioperi globali”, eppure è stato ripetuto fino alla nausea che gli allevamenti sono i responsabili di ben il 51% dell’effetto serra generato dalle attività antropiche. Un movimento che realmente desiderasse bloccare questa tendenza suicida (e assassina) alla distruzione ambientale, dovrebbe essere composto da persone umane disposte a seguire una dieta a base vegetale e altri accorgimenti per diminuire il proprio impatto sugli altri, impegnandosi al contempo pubblicamente e socialmente. Ciò non è quanto sta accadendo – è del tutto evidente – ed anzi persistono le solite note e vergognose resistenze ecologiste che sfociano nella più conclamata incoerenza.
In generale è possibile affermare che l’appello al “Fridays for future” può essere inquadrato in un movimento che si rifà al classico e fallimentare ecologismo superficiale, ossia a una concezione antropocentrica di tutela degli ecosistemi, in quanto indispensabili alla sopravvivenza umana e funzionali alle nostre esigenze. E’ plausibile pensare che al punto in cui siamo giusti, non sia più possibile rimediare a quanto distrutto adottando nuovamente una visione antropocentrica e utilitarista del nostro rapporto con la Natura. Serve altro ben più radicale e “scomodo” per tutti noi.
In questo frangente storico urge una reinterpretazione del concetto di Natura, a partire dai nostri rapporti con gli altri Animali, che non sia più egocentrata, ma che abbracci una visione non antropocentrica e non utilitaristica: ciò che deve essere fatto va fatto perché è giusto e non perché ci è utile. In poche parole serve un approccio antispecista al problema.
Cominciando a pensare secondo questa nuova prospettiva, risulterà naturale e logico ridiscutere non solo le nostre abitudini, attività e consuetudini personali, ma anche quelle dell’intera struttura sociale umana specista. Un reale “Fridays for future” dovrebbe imporre all’attenzione una forte questione morale, dovrebbe denunciare ciò a cui siamo ridotti e a cui abbiamo ridotto gli altri viventi, avviare un processo critico e autocritico strutturale e destrutturante, non cercare facili soluzioni per tappare delle falle ormai divenute enormi. L’alternativa è il fallimento. Del resto cosa potremmo attenderci da coloro che hanno condotto i giochi sino ad ora? Probabilmente una risposta che gattopardescamente cambi tutto per non cambiare nulla e continuare a lucrare sullo sfruttamento altrui, magari che si chiami green economy, o meglio capitalismo verde e che punti a un fantomatico “sviluppo sostenibile”? In tal caso “Fridays for future” sarebbe solo ulteriore tempo perso.
Allora chi potrà fare tutto ciò? La risposta è la più scontata e al contempo la peggiore: ciascuno di noi.
Spero vivamente che questa moltitudine di ragazze e ragazzi aumenti e comprenda che non solo il tempo per il pianeta sta finendo, ma che anche il tempo della delega è scaduto, come pure quello delle scuse e delle deresponsabilizzazioni; che i “temporeggiatori” come li chiamava Tom Regan, sono un lusso criminale che non ci possiamo più permettere. Oggi dobbiamo comprendere che assumerci le nostre responsabilità nei confronti dei viventi e del pianeta è indispensabile, in caso contrario domani dovremo farlo forzatamente se non vogliamo scomparire dalla faccia della Terra (un’eventualità sempre più concreta e negativa per noi, non certo per il pianeta).
In conclusione spero di vedere sempre più cartelli sull’antispecismo e sul veganismo alle prossime manifestazioni, retti da persone umane che si chiedano cosa possono fare loro e ora contro la catastrofe che abbiamo prodotto, e non cosa devono fare gli altri.
Adriano Fragano
Grazie per aver espresso così bene e chiaramente un pensiero che è anche il mio.
Grazie a te Massimo.
Colgo l’occasione per sottolineare che la mia vuole essere solo ed esclusivamente una critica costruttiva, nei confronti di un fenomeno che può realmente divenire un movimento di massa e che potrebbe creare situazioni inedite. Proprio per questo spero vivamente che avvenga una necessaria elaborazione teorica e una presa di coscienza di tutte le persone umane che vi prendono parte.
Non è un caso che la maggior parte dei mezzi di comunicazione taccia il fatto che Greta sia vegan. Dire che il più gigantesco cambiamento si avrebbe cambiando il nostro modo di relazionarci con le altre specie, a partire dal non mangiarle, destabilizza il sistema. Si va alle manifestazioni e poi tutti a mangiare l’hamburger, magari da McD.
Sono piuttosto pessimista su questo movimento, nonostante si sia conquistato un posto d’onore sui mezzi di informazione. Quando poi si ricollega alla tanto decantata enciclica papale mi cadono le braccia
Ciao Paola,
Grazie per il tuo commento.
Non è un caso come dici tu per ovvi motivo di stabilità del sistema, ma del resto bisogna anche ben capire perché Greta sia vegana e in ogni caso ribadire una volta per tutte che non è possibile utilizzare una filosofia (come quella vegana) solo per meri tornaconti personali o di specie. Insomma la questione è complicata.
Anche io sono pessimista nei riguardi di questo movimento e credo che l’articolo pubblicato lo dimostri, ad ogni modo spero al contempo di sbagliarmi.