Fonte: Veganzetta
Expo 2015 è l’Esposizione Universale che dal primo maggio al 31 ottobre 2015 sarà ospitata dalla città di Milano e attorno alla quale gravitano un numero esorbitante di appuntamenti, partecipazioni, finanziamenti, opere pubbliche e private, sponsorizzazioni e tutto quello che un “grande evento” come questo richiede e si prefigge di muovere.
La manifestazione si dichiara nei suoi ambiziosi intenti come un’occasione di confronto sul tema dell’alimentazione e della nutrizione, già a partire dal suo slogan promozionale e fa propri pochi e chiari concetti e parole chiave, che ai più potrebbero sembrare largamente condivisibili.
“Nutrire il pianeta, energia per la vita” con un cibo buono, sostenibile dal punto di vista ecologico e giusto dal punto di vista sociale, è questo il claim diffuso con ogni mezzo possibile.
Un’immagine praticamente inattaccabile, costruita a partire da un filo conduttore dichiarato – il cibo – che interessa tutti e che per tutti è, nel bene e nel male, argomento prioritario.
Alla grande manifestazione il collettivo Farro & Fuoco ha dedicato un dossier dal titolo “Nessuna faccia buona, pulita e giusta a EXPO 2015 – Dossier su Slow Food, Coop Italia e Eataly” che, a partire dalla storia di tre protagonisti dell’evento, ne analizza in modo critico contenuti, premesse, obiettivi e significati svelandone i retroscena e proponendone una visione critica.
Slow Food, Eataly e Coop Italia sono infatti tre attori protagonisti di questa querelle e giocano un ruolo primario nella costruzione del vero volto – malcelato – di questo evento di enormi proporzioni sia in termini di investimenti che di impatto sulla vita di chi vi entra in contatto, praticamente di tutti noi.
Già dalle prime righe del dossier appare chiaro come Expo sia un evento fuori dal tempo e dallo spazio, i cui confini geografici si estendono ben oltre Milano e la cui durata si annuncia ben più estesa dei sei mesi ufficialmente dedicati alle iniziative in calendario.
Una città che muta, così come tutte le altre coinvolte in “grandi eventi”, sotto al peso dell’urgenza di adattarla a diventare non solo location ma anche incarnazione della manifestazione, una macchina che si muove con l’obiettivo di creare una “nuova Milano”, spendibile come attrattiva turistica e contenitore luccicante.
Opere pubbliche costate un occhio della testa che nelle loro modalità di programmazione e costruzione sconfessano già adesso le dichiarate finalità dell’evento e che, stando alle esperienze pregresse, immaginiamo abbandonate e vuote quando il sipario calerà.
Collaborazioni, strette di mano, accordi, promesse e contratti che coinvolgono soggetti istituzionali e colossi industriali come Pioneer DuPont, multinazionale specializzata in biotecnologie e ricerche su Organismi Geneticamente Modificati, San Pellegrino SPA e altri marchi Nestlé, fra gli altri, che evidenziano lampanti criticità e idiosincrasie tra il tema ufficiale e le grandi opere collegate a EXPO.
Progetti giudicati essenziali e urgenti, ovviamente destinatari di finanziamenti, realizzati in tempi record schiacciando tutto ciò che incontrano, financo contadini e agricoltori i cui terreni sono stati espropriati come nel caso della costruzione dell’autostrada TEEM, con buona pace di Istituzioni e promotori.
Slow Food, Coop e Eataly, con la loro specifica presenza, inducono a credere che i veri temi di questa EXPO siano agricoltura, tutela della biodiversità, educazione alimentare e tutto ciò che a questi cardini possiamo agganciare ed è interessante e puntuale il lavoro portato avanti da Farro & Fuoco nel descriverne caratteri e peculiarità e nel dimostrare come la loro superficie patinata sia funzionale a sostenere l’insostenibile.
“Per sei mesi Milano diventerà una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri.”, questo possiamo leggere sulle pagine del sito ufficiale di EXPO.
Ma se la Milano/vetrina è sventrata, riscritta e violentata dai progettisti di EXPO, lo stesso vale per il vero protagonista della manifestazione, il suo destinatario, che non è un semplice cittadino ma un consumatore e costituisce il fertilizzante di un impianto che sul suo orientamento si sostiene e del suo denaro e consenso si alimenta.
Il consumatore è il fruitore finale di tutto quello che EXPO propone: passeggerà fra stand e laboratori, assisterà a workshop e presentazioni, si incuriosirà davanti a innovazioni tecnologiche pensate e costruite a sua misura e soprattutto orienterà i propri acquisti verso qualcosa che riterrà buono, sostenibile e giusto.
Del resto, chi ha strutturato tutto questo ha studiato approfonditamente queste dinamiche e, senza dubbio, ha dimostrato la sua abilità nell’utilizzare un linguaggio fino a poco tempo fa proprio di nicchie ristrette di ambientalisti o di aderenti a gruppi d’acquisto solidale reinventandolo e orientandolo verso un nuovo modello dicapitalismo green che è ben più feroce del suo antenato perché più subdolo e meno riconoscibile.
Il consumatore, bersagliato com’è da una pressante e ben costruita informazione, sarà esposto a un numero così consistente di stimoli che con tutta probabilità finirà per esserefelice di partecipare a quella che crederà essere una tappa di quella scalata verso un’economia sostenibile e potrebbe addirittura convincersi di costituire un tassello fondamentale per il sostegno di questo Progetto, un soggetto attivo della società che è nella mente di Slow Food e compagni.
Creare consumatori felici. Questo è l’obiettivo di EXPO 2015 così come in generale del nuovo capitalismo verde; felici di spendere il poco di cui questo sistema gli permette ancora di disporre con l’illusione di una scelta “consapevole” che altro non fa se non costituire consenso e legittimità del capitalismo stesso.
Di che colore sia non importa.
Felice è il consumatore e felice è chi produce, nella riproposizione di una presunta “società agricola tradizionale” che è caricaturale e a-storica e che produrrà qualcosa che è destinato a finire in bella vista sugli scaffali di un ben arredato supermercato a marchio Eataly o Coop sotto forma di prodotti certificati e “sicuri”.
Felice è addirittura il “prodotto”, ed è questo un argomento fondamentale, un prodotto felice anche quando altro non è se non una vita spezzata, martoriata, confezionata e acquistata.
Perché l’animal welfare, il presunto “benessere animale”, è uno dei punti cardine attorno al quale ruota il grande inganno dell’EXPO, dei suoi promotori e del capitalismo verde.
Un benessere definito dalle stesse industrie che lucrano sulla vita di milioni di esseri viventi destinati a essere trasformati in prodotti.
Con buona pace delle coscienze proprio di quei consumatori che crederanno “giusto” anche questo, perché il pascolo è più ampio, perché il cibo è biologico, perché l’aria è più buona.
EXPO punta il dito contro le ingiustizie connesse alla produzione del cibo e assurge coi suoi partner a “maestro” di buoni comportamenti e scelte sostenibili ma, ovviamente, fra le ingiustizie non include affatto quelle perpetrate nei confronti degli animali non umani e giustifica privazione, sofferenza e morte.
“Il marketing nel settore della vendita di cibo nella grande distribuzione impone oggi di inserire quelle due parole magiche -benessere animale- per attrarre il consumatore che si dichiara consapevole e rassicurarne al tempo stesso la coscienza; è necessario per chi vuole emergere fra i protagonisti del nuovo corso del mercato capitalista dal nuovo voltogreen e sostenibile.”
Così Farro & Fuoco descrive efficacemente questa dinamica.
E’ chiaro che l’unica forma possibile di concreto benessere animale può sussistere solo nella completa cancellazione di qualsiasi tipologia di allevamento, di sfruttamento e ogni forma di fonte di profitto per le aziende che provenga dallo sfruttamento animale.
Il meccanismo tramite il quale vengono edulcorati gli aspetti della dolorosa prigionia o dell’uccisione degli Animali agli occhi dei consumatori, non fa altro che legittimare ancora di più l’esistenza delle gabbie e dei mattatoi.
Il claim di Expo “Nutrire il pianeta” è basato su schiavitù, sofferenza e morte e certamente lavori come quello di Farro & Fuoco contribuiscono a diffondere una lettura critica di un fenomeno che è specchio di dinamiche ormai innescate che tutti noi possiamo contribuire a fermare.
EXPO porta con sé devastazione ambientale e sfruttamento delle risorse e un modello di economia pseudo sostenibile che è invece autoritaria ed elitaria, alla quale è possibile opporsi mediante la costruzione di esperienze di critica collettiva veicolate anche da lavori come il dossier del collettivo che vale la pena di leggere e diffondere.
Ada Carcione – Veganzetta