Fonte: www.animalismoevegetarianesimo.com/2011/09/lanalogia-oscena-olocausto-e-animali.html
L’analogia oscena (come la definisce Enrico Donaggio in un suo saggio) è un parallelismo forte, violento.
Consiste nell’accostare i moderni allevamenti industriali a dei lager, l’opera di sterminio animale nella contemporaneità a quella perpetrata settant’anni fa dalla Germania hitleriana.
È un nodo scottante, che diversi autori hanno però trattato con attenzione e senza peli sulla lingua (Isaac Singer, Coetzee, Charles Patterson in Un’eterna Treblinka).
Chiariamo subito che l’analogia oscena può essere considerata un qualcosa di stupido e provocatorio solo se il suo concetto fondante viene fraintesto, se la sua intenzione viene fraintesa.
A fugare dubbi di un malcelato razzismo, in verità, ci vuole ben poco. Perché in primo luogo chi è stato a porre all’attenzione del pubblico questa analogia?
Gli stessi reduci dell’Olocausto, persone che l’hanno vissuto sulla loro pelle o ne hanno sperimentato l’orrore da vicino, in famiglia.
Gli stessi reduci ebrei.
Da un lato, il ricorso a similitudini animali è una costante di tutti i resoconti sulle deportazioni, dall’altro l’analogia viene posta in luce, spesso, in maniera del tutto esplicita.
Già questo fatto pone in una luce differente la questione dell’analogia oscena.
Un autore ebreo, premio nobel per la letteratura come Isaac B. Singer, ha ispirato con le sue affermazioni lo stesso titolo del libro di Patterson Un’eterna Treblinka.
Ed ecco allora che quando sono i reduci dello sterminio nazista a portare all’attenzione del mondo l’analogia oscena, questa prende dei toni davvero inquietanti, impossibili da ridurre a “slogan animalista”. Quando loro ci dicono: sta succedendo di nuovo, solo che questa volta non siamo noi i perseguitati, il campanello d’allarme è spaventoso e suona per tutti.
Credo che per comprendere appieno l’intenzione degli autori che hanno portato alla luce questo parallelismo, occorra tenere bene a mente la tematica della memoria.
Dopo l’Olocausto quello della memoria è diventato un mantra: non dobbiamo dimenticare, per nessun motivo dobbiamo dimenticare quello che l’uomo è stato capace di fare, altrimenti saremo perduti.
Ecco quindi uno dei “motori” dell’analogia oscena: si era detto di non dimenticare mai il male che siamo in grado di fare. Siamo sicuri di non aver dimenticato?
Ma chi è che si sta macchiando di simili crimini oggigiorno? Tutta la potenza di questo accostamento, tutta la sua violenza, su chi ricade? Basta leggere le parole di Singer: nei confronti degli animali tutti sono come nazisti.
Non è una singola nazione a perpetrare il delitto, ma tutte quelle che hanno raggiunto un certo grado di sviluppo.
A questo si potrebbe obiettare che oggi, tuttavia, nessuno fa parte di un partito politico totalitario, che noi non siamo agenti delle SS di un’ipotetico Partito Estremista per lo Sterminio Animale, che non partecipiamo in prima persona ai delitti.
E in effetti avrebbe ragione.
Ma se è in atto un’opera colossale di sterminio e di dolore, nondimeno noi ne siamo coinvolti.
Forse allora siamo come coloro che avevano, non lontano da casa, un campo di concentramento. Siamo come tutti quegli uomini che mentre il Reich perpetrava i più orrendi massacri, facevano finta di non sapere. Che volevano non sapere.
Un autore italiano scampato al campo di Auschwitz, Primo Levi, nell’opera I sommersi e i salvati, un breve ma intenso lavoro saggistico sui lager e sulla sua esperienza personale ad Auschwitz, parla anche di questo: di chi in un certo modo era corresponsabile, di chi voleva non vedere quello che succedeva vicino alla sua abitazione.
Levi, per stracciare la tesi che molte persone davvero non sapessero, riporta diversi fatti a riprova del contrario, fra questi, la possibilità che avevano molti abitanti della Germania di andare a prelevare a piacimento ogni genere di vestiario di poco valore dai magazzini collegati ai campi di sterminio. Come si può credere che uomini e donne che sceglievano tra migliaia di indumenti, tra migliaia di scarpe grandi medie e anche piccole, da bambino, non potessero sapere che dietro c’era qualcosa di mostruoso?
Allo stesso modo, per quanto il paragone faccia davvero correre i brividi, chi si ritrova in un supermercato davanti un enorme banco frigo pieno di spalle, coscie, interiora e perfino cervella, e da questo banco preleva senza darsi pensiero, non può che essere considerato corresponsabile della gigantesca macchina del dolore che vi sta dietro.
Va inoltre detto che l’analogia oscena si dispiega in modi diversi e specifici: nel modo in cui venivano trasportate le vittime, nel modo in cui venivano trattate, nelle basi ideologiche per cui chi è diverso e considerato inferiore non ha alcun diritto…
Abbiamo citato I sommersi e i salvati di Primo Levi. Lo stesso Levi nel libro instaura spesso (ma senza teorizzarli) espliciti paragoni tra il modo in cui venivano trattati i prigionieri e gli animali. Vediamo un caso di parallelismo, a mo’ di esempio, tra i tanti che si possono incontrare nei resoconti dell’Olocausto:
“Per noi italiani, l’urto contro la barriera linguistica è avvenuto drammaticamente già prima della deportazione, ancora in Italia […]. Ci siamo accorti subito, fin dai primi contatti con gli uomini sprezzanti dalle mostrine nere, che il sapere o no il tedesco era uno spartiacque. […] Con chi non li capiva, i neri reagivano in un modo che ci stupì e spaventò: l’ordine, che era stato pronunciato con la voce tranquilla di chi sa che verrà obbedito, veniva ripetuto identico con voce alta e rabbiosa, poi urlato a squarciagola, come si farebbe con un sordo, o meglio con un animale domestico, più sensibile al tono che al contenuto del messaggio.Se qualcuno esitava (esitavano tutti, perché non capivano ed erano terrorizzati) arrivavano i colpi, ed era evidente che si trattava dello stesso linguaggio: l’uso della parola per comunicare il pensiero, questo meccanismo necessario e sufficiente affinché l’uomo sia uomo, era caduto in disuso. Era un segnale: per quegli altri, uomini non eravamo più: con noi come con le vacche o i muli, non c’era differenza sostanziale tra l’urlo e il pugno. Perché un cavallo corra o si fermi, svolti, tiri o smetta di tirare, non occorre venire a patti con lui o dargli spiegazioni dettagliate; basta un dizionario costituito da una dozzina di segni variamente assortiti ma univoci, non importa se acustici o tattili o visivi […]. Parlargli sarebbe un’azione sciocca, come parlare da soli, o un patetismo ridicolo: tanto, che cosa capirebbe?”
Vorrei concludere questo lungo post con un passaggio in cui Levi non instaura direttamente il parallelismo. Volendo, però, potrebbe farlo il lettore.
“Ci viene chiesto sovente, come se il nostro passato ci conferisse una virtù profetica, se ‘Auschwitz’ ritornerà: se avverranno cioè altri stermini di massa, unilaterali, sistematici, meccanizzati, voluti a livello di governo, perpetrati su popolazioni innocenti ed inermi, e legittimati dalla dottrina del disprezzo”.
Levi su questa problematica infine sospende il giudizio, lasciando al lettore il compito di pensarci su.
E anche alla fine di questo post, in fondo, non spetta che al lettore la responsabilità di riflettere su quanto siano fondati, o meno, i criteri alla base dell’analogia oscena.
…da qualche tempo, ormai, e purtroppo da anziana, ho perso la pace della mente e del cuore al pensiero (che non mi lascia mai) delle
sofferenze inflitte al mondo animale a causa delle nostre “esigenze” alimentari. Senza sentirmi molto meglio, in realtà, ma ho optato personalmente per una dieta vegetariana. Inoltre leggo, mi informo, sostengo le mie posizioni e mi confronto… una goccia nel mare… oso sperare in un futuro migliore. Che purtroppo non vedrò.
Cara Marcella,
Innanzitutto è necessario affermare che non c’è un’età in cui operare dei cambiamenti: ciascuno di noi ha la possibilità di informarsi, di riflettere e di assumere finalmente le proprie responsabilità agendo di conseguenza a qualsiasi età.
Probabilmente la pace della mente in un mondo come è quello umano contemporaneo è solo sinonimo di lontananza dalla realtà, perché di pacifico e di positivo nel nostro agire quotidiano c’è ben poco. Benvenga quindi anche il più piccolo barlume di spirito critico.
Fai molto bene a leggere, a in formarti e a sostenere le tue posizioni, questo è il fulcro dell’attivismo in favore degli Animali. E’ molto probabile che nessuna/o di noi vedrà un futuro migliore, ma ciò non ci deve dissuadere dal combattere per renderlo possibile.
Dunque ora a te il passo soccessivo, perché una volta ammessa la realtà dell’agire umano, il vegetarismo non è più sufficiente. Grazie per ciò che fai e che farai per gli Animali.