Le insidie dello specismo speculare

Fonte Veganzetta n° 1 / anno II


L’occuparsi di diritti degli Animali, trascendere (non dandole per assodate, ma ignorandole) tutte le problematiche legate alla società umana, per concentrarsi sulle immensità del dolore Animale causato direttamente da tale società, rappresenta non solo un clamoroso errore strategico, ma anche un pericoloso cedimento concettuale.
Il problema di fondo – a nostro avviso – è la scarsità di approfondimento della questione prettamente “umana” della filosofia antispecista; mentre sempre più persone possono senza difficoltà dirsi d’accordo con il concetto di diritti animali, concetto affrontato da autori del calibro di Peter Singer, Tom Regan, Gary L. Francione, Jim Mason, James Rachels – solo per citare i più blasonati – pochi hanno ritenuto opportuno affrontare forse l’aspetto fondamentale dell’antispecismo, sempre citato, ma quasi mai indagato: la liberazione animale.
Il cedimento concettuale che ne deriva può condurre a posizioni simili a quelle di Paul Watson e la sua Sea Shepherd, il quale candidamente afferma: “In un mondo in cui gli esseri non-umani non hanno alcun genere di diritto, personalmente non penso di dovermi preoccupare troppo della negazione di diritti umani.” (1).

Di fronte a prese di posizione del genere si può ben capire come un certo attivismo (del tutto condivisibile se non avesse origine da posizioni come quella di cui sopra) possa fungere da calamita per tutti coloro che preferiscono affrontare il problema nella sua metà che non riguarda direttamente la sua causa (una società umana sfruttatrice, iniqua e tiranna verso Umani e non). L’intervista a Paul Watson è, sotto questo punto di vista, illuminante, e rende l’esatta misura del fenomeno che si potrebbe definire uno specismo di ritorno formulato partendo da posizioni antispeciste: uno specismo speculare (2). Un concetto che vede la specie umana come il problema da risolvere, il corpo estraneo nel tutto dell’equilibrio ecosistemico del pianeta da arginare se non da estirpare. Le visioni estinzioniste, pessimiste e catastrofiste veicolate dallo specismo speculare spesso si accompagnano al qualunquismo a-politico che tanto è in voga tra gli attivisti animalisti. Il professarsi a-politico, testimonia due elementi preoccupanti: la profonda ignoranza generalizzata su ciò che significa fare politica, e la confusione tra azione politica e partitismo.
La politica è e deve essere intesa anche come un esercizio individuale atto ad influenzare la collettività, essa può essere esercitata in numerosissimi modi, ma mai ignorata, pena l’accettazione supina delle visioni altrui. Fare politica vuol dire anche decidere consapevolmente quali azioni favorire nel quotidiano, e quali contrastare. Decidere di non indossare una pelliccia, di non acquistare cadaveri di Animali, di non appoggiare la vivisezione sono atti politici. Le attività volontarie in favore degli animali, le proteste, le manifestazioni, sono attività politiche nel senso che sono esercitate nell’intento di influenzare l’opinione pubblica nel tentativo di modificare lo stato delle cose in favore degli Animali.
La politica, quindi, non è solo ad esclusivo appannaggio dei partiti, deve essere un diritto che ogni cittadino deve poter esercitare in piena libertà.

Chi crede che possa esistere un’azione fine a se stessa senza un progetto su vasta scala per risolvere l’enorme problema del rapporto Umani-Animali, commette un grande errore per il semplice fatto che in questo modo, non fornendo un’ipotesi di soluzione a lungo termine, ci si predispone all’accettazione acritica (in nome della massimizzazione del risultato immediato) di qualsiasi proposta: si può continuare a perpetuare la visione di dominio del più forte sul più debole, causa dell’infinito macello quotidiano, nella speranza illusoria ed assurda di porvi un rimedio.
Gli esempi a riguardo si sprecano: forum su internet dove si spendono fiumi di parole su Animali maltrattati e poi si professa la pena di morte per gli Umani, animalisti fautori della giustizia sommaria, della legge del taglione, attivisti vegani che dichiarano pubblicamente il loro odio per popolazioni umane considerate barbare o inferiori (leggasi cinesi, arabi, popolazioni dell’est europeo …), antispecisti giustamente preoccupati per il mostruoso sfruttamento degli Animali, ma lontani anni luce dai problemi dello sfruttamento dei più deboli fra gli Umani. Persone che non esitano ad avallare visioni razziste, sessiste, omofobiche, discriminatorie nei confronti di etnie e religioni, il tutto in nome di una presunta difesa dei diritti degli Animali. Argomentazioni, quindi, del tutto compatibili, ed anzi di supporto, al pensiero unico occidentale che prevede l’assoggettamento del diverso e del più debole, la sottomissione e l’omologazione.

Ma torniamo alla questione della liberazione animale lasciata in sospeso. Come può essa aiutare a risolvere il sempre più pressante problema della deriva dell’antispecismo, verso lo specismo speculare? Il tutto è sostanzialmente riconducibile ad un problema di approccio: i diritti animali in sostanza non prevedono necessariamente un ripensamento radicale della società umana, ma una sua rimodellazione e l’espansione dei suoi principi fondanti, anche ad individui (gli Animali in generale, e gli esseri senzienti in particolare) che attualmente non ne fanno parte, e che non possono quindi godere dello status di “cittadino” nel senso più classico del termine. In buona sostanza i diritti animali, seppur un passo importante, non sono un argomento sufficientemente forte per mettere al riparo l’intero movimento animalista radicale da pericolose involuzioni (ed infiltrazioni strumentali di fazioni politiche o di ideologie lontane anni luce da concetti di uguaglianza, libertà e diritti dei più deboli), pertanto è evidente che, come traguardo strategico, si dovrebbe abbandonare la questione dei diritti animali, in favore della liberazione animale intesa come “ponte” tra lo status quo ed un futuro di libertà generalizzata. Il concetto di liberazione animale prefigura, infatti, una profonda critica della società umana, e quindi una visione rivoluzionaria che non permette una dicotomia tra problematiche umane e animali. L’abbattimento dei motivi di disuguaglianza, di ingiustizia, e di prevaricazione presenti tra gli Umani, spianerebbe la strada alla più ampia liberazione di tutti gli Animali (*).

Liberando noi stessi, libereremmo anche chi stiamo schiavizzando, allontanando nel contempo chi subdolamente tenta di rallentarci.

Adriano Fragano

Note:

1) http://www.directaction.info/library_watson.htm
2) Libera interpretazione del neologismo preso in prestito da Filippo Schillaci

* liberazione animale = Il concetto di liberazione animale (intesa come liberazione umana e non umana) trascende la visione dei diritti animali, la concessione di determinati diritti presuppone il riconoscimento ad una o più specie della facoltà di concedere tali benefici ad altre specie. La liberazione animale prefigura invece degli scenari molto più complessi nei quali le specie senzienti (si parla per l’appunto di animali) siano in grado di poter esplitare le proprie vicissitudini senza danneggiare – o danneggiando il meno possibile – le altre. Il tutto presupporrebbe teoricamente una visione condivisa interspecifica, visione che oggettivamente non si può verificare. Pertanto dovrà essere l’Uomo che in quanto tale dovrà operare sulla propria organizzazione sociale per poter permettere la liberazione dell’individuo umano e di quello animale, essendo la sociatà umana l’unica in grado di opprimere tutte le altre specie viventi. La liberazione animale, pertanto, conduce ad una visione rivoluzionaria che comporterebbe profondi cambiamenti sociali. Il concetto di liberazione animale assume quindi una notevole importanza nel cammino antispecista, e può considerarsi come una delle tappe fondamentali per la costruzione di una nuova società umana a-specista che sarà in grado di esistere proprio grazie ai fondamenti teorici della liberazione animale.

Indirizzo breve di questa pagina: https://www.manifestoantispecista.org/web/qVOlt

2 Commenti

  1. Adriano (che saluto in quanto distributore di Veganzette per Pistoia) scrive che “L’occuparsi di diritti degli Animali, trascendere (non dandole per assodate, ma ignorandole) tutte le problematiche legate alla società umana, per concentrarsi sulle immensità del dolore Animale causato direttamente da tale società, rappresenta non solo un clamoroso errore strategico, ma anche un pericoloso cedimento concettuale.” Il punto è appunto stabilire come dato oggettivo che facciamo parte gli animali a tutti gli effetti e quindi la “liberazione animale” comprende quella umana così come quelle di tutte le razze. Bisogna iniziare da questo punto che non deve essere chiaro soltanto a chi di antispecismo si occupa ma a tutti coloro che magari si fermano ad un banchetto od osservano i manifestanti riunitisi per un qualsiasi presidio.
    L’etichetta di animalista tout court rischia di confondere le idee forse a causa proprio del termine. Comunemente infatti la parola “animale” fa immaginare qualsiasi essere senziente che non sia l’uomo, possiamo provare con qualsiasi nostro conoscente: basta chiedergli di elencare delle razze animali a caso e l’uomo non comparirà mai, neanche quando il malcapitato avrà terminato tutte le altre specie. Potremmo parlare allora della liberazione degli esseri senzienti tanto per cercare di essere più chiari (il concetto è quello di Animali che in veganzetta è spiegato molto bene, ma portato ad un livello comprensibile per i non addetti ai lavori).
    In merito al discorso sullo specismo speculare sono abbastanza d’accordo così come sul significato di politica attiva. Per me ritengo che sentirsi associati ad uno schieramento politico sia quantomeno demoralizzante. Non per l’accostamento al mondo politico (che guardando l’etimologia dovrebbe essere auspicabile) quanto per l’assenza di figure che a tale livello possano fungere da tramite tra gli Antispecisti e le istituzioni. Per questo ora è naturale per molti disinteressarsi della politica ma questo atteggiamento non può definirsi a-politico. Chi fa attivismo, è vegan, consapevole nei consumi e negli acquisti impegnandosi in prima persona, sente sempre di “fare” politica in ogni suo passo, in ogni discorso, in tutti i pensieri della vita quotidiana. La politica la vive, non necesariamente occupandosi delle liti da comari cui siamo abituati. E sarebbe auspicabile uno sforzo da parte dei gestori della res pubblica, ma al momento non vedo vie d’uscita: ogni richiesta, anche minima, portata a favore della liberazione degli esseri senzienti, troverebbe ostacoli insormontabili fatti di interessi economici, intrecci di potere, mancanza di etica e di informazione sulle nostre argomentazioni. Non possiamo parlare di Antispecismo con questa classe politica, non per altri trent’anni.
    In questo senso mi considero a-politico anch’io.
    E credo che l’anarchismo sia la rotta giusta per giungere un bel giorno a parlare alle singole persone, far loro comprendere che la nostra libertà è essenziale come quella di tutti gli altri abitanti del pianeta.

  2. Carissimo Enzo,

    Ti saluto con piacere e ti ringrazio prima di tutto per il lavoro che fai per la distribuzione della Veganzetta!
    Ciò che dici è verissimo, infatti, temo, che il problema attuale più grande non sia la diffusione dell’antispecismo tra coloro che sono digiuni di animalismo, ma la diffusione dello stesso tra gli animalisti. Servirebbe una seria politica di confronto tra “addetti ai lavori” per poter elaborare una seria strategia di diffusione dell’animalismo tra chi si occupa di “diritti Animali” ma che lo fa in modo parziale se non erroneo tutelando solo alcuni di loro a discapito di altri.
    La questione linguistica sta particolarmente a cuore alla redazione della Veganzetta, infatti serve (e servirà sempre più) destrutturare un linguaggio antropocentrico per costruirne uno più vicino al sentire antispecista. IN questo senso sarebbe bellissimo intraprendere un lavoro simile a quello del Dizionario Situazionista tentato negli anni ’70.

    A-politica. Si, comprendo quanto dici, però io preferirei NON regalare il concetto di politica ai partiti politici e parlare di a-partitismo.
    IN questo modo ci si riapproprierebbe della politica rimanendo a debita distanza da ciò che oggi la “politica” dei partiti propone.

    A presto e grazie

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