Un recente articolo pubblicato sul sito web dell’associazione The Vegan Society, illustra il risultato di un’indagine statistica condotta dalla stessa su un campione di persone umane vegane britanniche, a riguardo del loro atteggiamento sul cosiddetto “vaccino” contro il virus Covid-19.1 Il titolo dell’articolo tradotto in italiano è eloquente: “L’87% dei vegani del Regno Unito ha ricevuto almeno una dose di vaccino contro il Covid-19” e in riferimento ai soggetti intervistati, si dichiara:
“Solo il 4% ha affermato di non essersi vaccinato e che non lo farà. Il motivo principale addotto da coloro che non vogliono vaccinarsi è la paura o la sfiducia sulla sicurezza del vaccino (58%). Il 35% vuole aspettare che vengano rese disponibili ulteriori informazioni e il 29% non crede che il vaccino funzioni. Il 23% di questo gruppo ha indicato ragioni etiche”.
Dunque facendo un po’ di calcoli: secondo questa rilevazione eseguita su un campione di 1.500 persone umane tra i 16 e gli 80 anni che si definiscono vegane, gli individui che esprimono critiche o contrarietà ai “vaccini” per motivi etici sono il 23% del 4% del totale, vale a dire meno dell’1% delle 1.500 persone umane intervistate. Ciò significa che il restante 99% presumibilmente non ha remore di carattere etico nei confronti dei vaccini. Certamente tra la massa dei soggetti vaccinati, ci sono anche coloro che pur manifestando una contrarietà, hanno dovuto vaccinarsi per motivi personali legati ad esempio a particolari condizioni di salute, familiari o altro.
Con la consapevolezza che tali situazioni, che si potrebbero definire di forza maggiore, sono da considerarsi delle eccezioni, torniamo a concentrarci sul dato statistico emerso di maggiore interesse: a detta della Vegan Society meno dell’1% di tutte le persone umane che si considerano vegane intervistate, ha dichiarato la propria contrarietà a vaccinarsi per motivazioni etiche (ossia principalmente perché tali farmaci sono stati massicciamente testati sugli Animali).
Tenuto conto che attualmente in quel Paese non sono in vigore tutte le assurde restrizioni alla libertà individuale che invece sono state imposte in Italia, viene da pensare che da noi la situazione in ambito vegano potrebbe essere addirittura peggiore. E’ anche vero che l’attendibilità e l’obiettività di queste statistiche è tutta da dimostrare (considerando che ormai le indagini statistiche sono in genere concepite e utilizzate per influenzare e non per informare), è quindi legittimo ritenere che la situazione potrebbe essere invece molto migliore (ed io ritengo che sia così); ad ogni modo è chiaro che nella minoranza che l’ambito vegano rappresenta nella società umana specista, chi esprime critiche, dubbi o si oppone convintamente ai vaccini per motivazioni etiche è una piccola parte: dunque a tutti gli effetti una minoranza nella minoranza.
Questa realtà gravissima, porta a considerare un fatto inequivocabile: la mancanza di una critica seria e strutturata alla situazione (di emergenza sanitaria, sociale, culturale e di attacco alle libertà individuali) da parte di soggetti che affermano di aderire alla filosofia vegana e/o a quella antispecista, li colloca sullo stesso piano di coloro che accettano acriticamente e supinamente ogni situazione che la società in cui vivono impone. Questi ultimi si pongono ben oltre il semplice conformismo, rinunciando a ogni iniziativa, fino ad accantonare ogni ragionevole dubbio, rifiutando ciò che non è assimilabile alla norma e ai valori costituiti e dettati (siano essi politici, sociali, religioni o morali) dalla società e dalle istituzioni. Stiamo parlando di un fenomeno di massa reso possibile da una tipologia di individui che possono a ragione essere definiti come dei soggetti normopatici.
La tendenza a conformarsi alla maggioranza, trascurando lo sviluppo di un qualsiasi pensiero critico autonomo, è stata definita normopatia da Joyce McDougall e Joseba Atxotegui.2 Per una migliore comprensione del fenomeno è utile citare lo psicologo argentino Enrique Guinsberg che parla del soggetto normopatico come di “colui che accetta passivamente come principio tutto ciò che la sua cultura gli indica come buono, giusto e corretto, non osando mettere in discussione nulla e spesso nemmeno pensare qualcosa di diverso salvo giudicare criticamente chi lo fa e anche condannarlo o accettare che lo condannino”.3 L’aspetto di questo fenomeno che più interessa, è senza dubbio quello della normopatia sociale prodotta e indotta dalla società soprattutto mediante i potenti mezzi persuasivi e terrorizzanti della comunicazione di massa e dalle istituzioni. Vale la pena di riportare la considerazione dello psicoterapeuta Michele Iannelli che a tal proposito scrive:
La normopatia sociale, è imposta da forze oligarchiche che fanno del proprio profitto l’unica meschina e criminale ragione di vita. L’obiettivo, perseguito con pervicacia in tutti i campi, è quello di sopraffare e sostituire l’insieme delle caratteriste e capacità naturali dell’individuo e della collettività di operare attraverso un autentico e genuino buon senso. Quel tipo di buon senso che permette di valutare e distinguere il logico dall’illogico, l’opportuno dall’inopportuno, il giusto dall’ingiusto, il sano dall’insano, la luce dalle tenebre, la speranza dalla disperazione, il bene comune dalla macelleria sociale, il vero sapere dalla menzogna.4
Quanto descritto conduce inevitabilmente ad una domanda: com’è possibile che persone umane che affermano di condividere (e di vivere) una visione radicale, critica e alternativa alla società specista come il veganismo, possono essersi allineate a questo comportamento? L’argomento è complesso e le motivazioni utili a spiegare detto comportamento sono sicuramente numerose, desidero però evidenziarne quattro esponendole di seguito.
1) L’errata o superficiale comprensione del messaggio vegano
Un problema annoso che riguarda non solo la superficialità di coloro che hanno cercato di comprendere al massimo le pratiche etiche (e nemmeno tutte) e non la filosofia vegana, ma che chiama in causa direttamente soggetti, gruppi e associazioni vegane, che per decenni hanno promosso un’idea di veganismo parziale, semplicistica, se non addirittura infantile. In buona sostanza l’idea che si possa divenire persone umane vegane semplicemente sostituendo i prodotti di uso comune con altri che non prevedano l’utilizzo di ingredienti animali, senza mettere in discussione il nostro modello di vita (in poche parole il metodo che proponeva Gary Yourofsky). Un’idea fondata esclusivamente sulla dimensione pratica vegana, lontana da qualsiasi approfondimento teorico, da qualsivoglia critica sociale e posizione politica: incentrata sul criterio del cambiamento meccanico, facile e indolore. Un’idea deresponsabilizzante che ha formato generazioni di persone umane fintamente vegane.
2) La presa di distanza di alcune frange del mondo antispecista dal veganismo
Negli ultimi anni sono state numerose le voci in ambito antispecista che si sono levate contro il veganismo: concepito come sola pratica apolitica e non come filosofia, ritenuto troppo semplice e privo di spessore teorico. In tal modo molte persone umane antispeciste hanno finito per allontanarsi dal continuo esercizio pratico di (auto)critica generato dal veganismo, assolutamente indispensabile per una efficace lotta di liberazione, concentrandosi esclusivamente su questioni teoriche sempre più lontane dal quotidiano, dalla coerenza individuale e in definitiva anche dalla questione animale. Senza dubbio un errore drammatico e dalle conseguenze ancora non del tutto immaginabili.
3) L’incoerenza diffusa nell’ambiente vegano e antispecista
Non sempre è possibile trovare una giustificazione accettabile per il comportamento di chi pur definendosi come una persona umana vegana o aderendo all’antispecismo, tiene nel quotidiano comportamenti palesemente contrari a queste idee, dimostrando nei fatti di sottostare al modello specista proposto dalla società umana. Comportamenti che non dipendono da traversie o da vicissitudini della vita, ma più banalmente da mancanza di volontà, serietà e coerenza, sono purtroppo molto diffusi in questi ambienti, anche tra chi meno ce lo si aspetta.
4) Il silenzio di molte figure di riferimento
In questi anni caratterizzati dalla pandemia da Covid-19, si è assistito a una sorta di ritirata dalla vita pubblica di molte figure di riferimento teorico in ambito liberazionista e in particolar modo antispecista. La mancata presa di posizione (o in alcuni casi addirittura l’adesione) da parte di tali figure a riguardo delle imposizioni che hanno grandemente limitato le libertà individuali umane nel nostro Paese, hanno contribuito a instaurare un clima di incertezza, delusione e confusione che ha aggravato le divisioni già presenti. Sul perché di tali comportamenti si potrebbero scrivere fiumi di parole, ma quanto meno è chiaro che spesso l’ambiente vegano e quello antispecista hanno puntato sulle persone umane sbagliate.
Dunque conformismo e normopatia sociale che oggi più che mai caratterizzano la società umana, in tutta evidenza dilagano anche in ambito vegano e antispecista, causando una serie di comportamenti ormai noti, in parte o del tutto incoerenti con le posizioni etiche che connotano questi ambiti. Un risultato è quel 99% di persone umane vegane di cui parla l’articolo della Vegan Society. L’emergenza sanitaria e soprattutto quella sociale e civile di questi anni, hanno evidenziato quanto poco il messaggio radicale vegano e antispecista sia stato compreso e assimilato da coloro che affermano di promuoverlo, rimanendo vivo solo in una sparuta minoranza che oggi appare fortemente aggrappata ai propri valori e per questo più che mai isolata.
Ciò detto con quale spirito chi si riconosce in questa minoranza nella minoranza può pensare non solo al proprio futuro, ma anche a quello dei valori a cui aderisce idealmente e praticamente? Certo il pessimismo se non addirittura lo sconforto possono essere la reazione più naturale, ma desidero tentare di fornire un approccio alternativo e positivo al problema. Quando nella metà degli anni ‘40 del secolo scorso Donald Watson decise di separarsi dalla Vegetarian Society inglese (per motivazioni dichiaratamente etiche) e fondare una nuova entità che avrebbe preso il nome di The Vegan Society, era parte di un minuscolo gruppo di soli sei soggetti umani, che riunì per la prima volta a Londra in occasione della fondazione della nuova associazione. Un gruppo che nonostante la manifesta contrarietà della Vegetarian Society, le enormi difficoltà di dover vivere – in quell’epoca – in una società umana specista e la tragedia della guerra in corso, decise di intraprendere un percorso di consapevolezza e coerenza che è giunto fino ai nostri giorni. Un percorso di disobbedienza, di non omologazione, di rifiuto di facili soluzioni imposte standardizzate e normalizzate, che prevedevano lo sfruttamento sistematico degli Animali a nostro uso e consumo; certamente un percorso difficile, derivante da una nuova etica del vivere improntata al rispetto dell’alterità e alla giustizia interspecifica. Anche allora quelle sei persone umane avrebbero potuto facilmente cedere al pessimismo e allo sconforto al solo pensiero dell’immane lavoro e delle difficoltà che le attendevano, ma non lo fecero e la filosofia vegana (quella originale, non certo le sue vergognose aberrazioni) prese piede e si diffuse nel mondo.
Lo spirito pionieristico di quella piccola avanguardia potrebbe fungere da ispirazione per cercare nuove modalità resilienti oggi: pare in effetti che ci troviamo come allora all’anno zero per quanto riguarda la proposta etica vegana originale (allora come oggi considerata estrema e antisociale), perché mai come in questi ultimi anni è evidente la grande differenza che esiste tra un veganismo riformista se non addirittura di facciata e un veganismo radicale. Il primo è ben rappresentato dall’atteggiamento di ciò che rimane della Vegan Society delle origini: ossequioso e aderente alle direttive (non solo sanitarie) imposte dalle istituzioni speciste. Un atteggiamento che non prende minimamente in considerazione la possibilità di alternative, che non solleva critiche, dubbi o quesiti, che non si oppone in nessun caso; al contrario in tale ambito c’è addirittura chi stigmatizza o ridicolizza chi non si adegua al comportamento della massa. Il secondo è chiaramente rappresentato da quell’1% di soggetti vegani che si dichiara contrario ai cosiddetti vaccini per motivazioni etiche: una contrarietà frutto di coerenza, di riflessioni, di un atteggiamento critico e di una libertà di pensiero evidentemente sempre più rara e scomoda.
Anche oggi come allora è necessaria una buona dose di coraggio, autonomia di pensiero, una spiccata capacità di resilienza e una rete di contatti per un indispensabile supporto morale e pratico. Il veganismo radicale, quello delle origini e delle grandi questioni etiche, con la sua visione critica e disobbediente, è in grado di fornirci tutti gli strumenti necessari per poter combattere efficacemente la normopatia che ci attanaglia, salvaguardando il nostro senso critico, preservandoci da una società lobotomizzante e dall’annichilimento in atto di qualsiasi proposta culturale alternativa all’esistente.
Un veganismo radicale come antidoto alla follia di massa che stiamo vivendo, che ci permetta come individui di distinguere ancora il giusto dall’ingiusto, realmente può essere considerato come una proposta non solo sensata, ma salvifica.
Concludo dedicando questo testo alle persone umane vegane che, nonostante le grandi difficoltà, con tenacia rimangono coerenti nei fatti con i propri principi, disobbedendo anche in questo periodo di pandemia e che per tale ragione hanno tutta la mia stima e riconoscenza.
Adriano Fragano
Note:
1) Cfr. il sito web www.vegansociety.com/news/news/87-uk-vegans-have-had-least-one-dose-covid-19-vaccine
2) Joseba Atxotegui, Tortura y psicoanálisis, in J. de la Cueva, J. L. Morales et al., Tortura y sociedad, Editrice Revolución, Madrid, 1982, pp. 173-194
3) Enrique Guinsberg, La Salud Mental en el Neoliberalismo, Plaza y Valdés, Madrid, 2001, pp. 49-50
4) Michele Iannelli, Normopatia: un soffocante e velenoso grigiore al servizio delle oligarchie, 9 aprile 2019, www.psicoterapiaolisticaroma.it/normopatia-un-soffocante-e-velenoso-grigiore-al-servizio-delle-oligarchie
Articolo originariamente pubblicato su Veganzetta