Il veganismo ai tempi del Coronavirus

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Da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il nuovo Coronavirus (Covid-19 o SARS-CoV-2) una pandemia, in pratica non esiste un continente che non sia stato interessato dalla sua presenza. Con il crescere del contagio, sono cresciute le emergenze sanitarie e diminuite le libertà individuali e collettive, fino a giungere a situazioni giustamente paragonate agli scenari immaginati nei romanzi distopici di Orwell, Huxley o Bradbury. I media fanno a gara nello snocciolare dati, tendenze, curve ascendenti e discendenti di contagi, raggiungimento di picchi ed elenchi di decessi; scienziati e esperti nelle più svariate discipline si affannano a fornire pareri su come uscire (più o meno indenni) dalla pandemia, su come dovremmo condurre gli interventi necessari a contrastarla e le modalità per convivere con il virus. Tutti si concentrano sul come arginare il dilagare di Covid-19, nessuno o quasi si interroga sul perché questo virus abbia colpito così duramente la nostra specie: ora non c’è tempo, dopo non ci sarà più la voglia di farlo.

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La carne fa male… a chi ce la fornisce

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L’Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – parte integrante dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità  – ha pubblicato in questi giorni un rapporto sulla relazione tra consumo di carne rossa e lavorata e l’insorgenza di tumori nell’essere umano.
Secondo tale rapporto le carni rosse e quelle lavorate aumentano la probabilità per chi le consuma di ammalarsi di tumore, le carni lavorate in quanto a pericolosità vengono affiancate al fumo e all’amianto.
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