Un manifesto: Il libro

copertina nuova edizione manifesto antispecista 2022 - Un manifesto: Il libro

Cos'è l'antispecismo? Un libro per fare un po' di chiarezza

Negli ultimi anni il termine “antispecismo” sta dilagando sul web e in generale sui media e sempre più spesso lo si ritrova citato negli articoli di giornali e riviste. Sono numerose le attività sul territorio, le manifestazioni e le feste, come pure le persone umane, che si autodefiniscono “antispeciste”. Tutto ciò dovrebbe rallegrare, e non poco, chi da anni tenta di vivere quotidianamente l’idea antispecista, e che ricorda assai bene l’isolamento subito in passato; ma è lecito domandarsi se il numero crescente di soggetti che al giorno d’oggi parla di antispecismo, abbia realmente compreso cosa esso significhi.
Chi si definisce antispecista e non è nemmeno una persona umana vegana, o raccoglie firme per chiedere leggi in favore degli Animali alle istituzioni speciste, chi si occupa di diete, ricette di cucina e di prodotti privi di ingredienti animali, chi organizza eventi commerciali e li pubblicizza come antispecisti, chi partecipa alle manifestazioni antispeciste e al contempo aderisce a ideologie fasciste, razziste, xenofobe, sessiste o discriminatorie, evidentemente ha un proprio personale concetto del significante (il termine “antispecismo”) e del suo significato. Nonostante ciò, pur rispettando e anzi stimolando le personali interpretazioni, sorge il fondato dubbio che molte di queste persone umane non abbiano le idee chiare su quale siano le fondamenta della filosofia che l’antispecismo propone – chiaramente rivoluzionarie e antisistema – e che abbiano semplicemente arricchito il proprio vocabolario (per moda o per altre motivazioni) con termini che utilizzano in modo superficiale o addirittura improprio o errato.
L’esperienza ci insegna che ogni volta che un’idea, una nuova filosofia divengono d’uso comune, subiscono un inevitabile processo di banalizzazione e di omologazione per diventare utilizzabili dalla massa. Il senso comune si impossessa di un termine e lo fa proprio, lo introduce nel linguaggio, lo semplifica, ma spesso lo snatura stravolgendone le caratteristiche originarie. Questo è ciò che sta accadendo da tempo per il veganismo, il timore è che la stessa sorte stia toccando all’antispecismo.
Per tale motivo il progetto Manifesto Antispecista dopo molti anni di presenza sul web con un testo pubblicato, e dopo ben quindici edizioni operate anche grazie ai suggerimenti, le critiche e le proposte di lettrici e lettori, è diventato un libro: “Manifesto Antispecista. Teoria, strategia, etica e utopia per una nuova società libera“. Un libro (disponibile in versione .epub o .pdf in vendita su questo sito web) edito da Edizioni Veganzetta, di piccolo formato e di poche e soppesate definizioni, contenente un testo agevole e veloce, unitamente a una serie di 10 F.A.Q. (Frequently Asked Questions) sull’antispecismo. Il motivo principale per cui il testo di Manifesto Antispecista è divenuto una pubblicazione, è quindi il tentativo di fare chiarezza: l’idea antispecista – forse ora più che mai – ha bisogno di alcuni punti fondamentali in cui riconoscersi, di alcune basi su cui poggiare, di concetti sufficientemente chiari e di carattere generale, da poter essere perlomeno accettati, se non condivisi, e magari utilizzati per successive elaborazioni da chi si interessa della questione animale.

Il libro non ha alcuna volontà dogmatica e si propone con modestia come una raccolta di definizioni di base e considerazioni, utili a rendere accessibile la filosofia antispecista a chiunque. L’urgenza è e rimane quella di creare almeno una piattaforma teorica comune di partenza, senza imporre alcunché, o arrogarsi il diritto di definire una linea di pensiero unica e immutabile.
Chi conosce questo progetto sa che con quanto proposto si intende cercare fornire una piccola “bussola” utile a orientarsi nel complicato mondo antispecista, e soprattutto per comprendere che non esistono diversi antispecismi, ma una sola idea che ha molteplici forme ed è in continua evoluzione.

Adriano Fragano


Si può resistere all’invasione degli eserciti; non si resiste all’invasione delle idee.
Victor Hugo, “Storia di un delitto


L’antispecismo è un’idea rivoluzionaria

L’antispecismo è un’idea rivoluzionaria che se correttamente applicata, produrrebbe una radicale destrutturazione e trasformazione della società umana. Un’idea nuova e in continuo divenire che necessita, per non rimanere relegata puramente nell’ambito teorico, di una logica e coerente applicazione nella prassi. Per tale motivo un testo apposito può forse essere utile per chiarirsi le idee. “Manifesto Antispecista. Teoria, strategia, etica e utopia per una nuova società libera” è un progetto diretto, schematico e ragionato per fornire a chi s’interessa all’argomento, una serie di strumenti teorici il più possibile condivisibili. Il testo è frutto di anni di elaborazione da parte dell’autore di pensieri, interventi, scritti, conferenze, workshop e di confronti informali con pensatrici e pensatori italiani; il rapporto tra Umano e gli altri Animali, è un argomento sempre più considerato e dibattuto, il fatto che sia uno dei problemi più spinosi e fondamentali che dobbiamo affrontare, è ogni giorno più evidente.
Il libro offre a chi legge la possibilità di definire e chiarire dei concetti di base dell’antispecismo, e una serie di stimoli utili per l’avvio di un dibattito futuro su un’idea ancora in evoluzione, il tutto affiancato anche da dieci semplici F.A.Q. (risposte alle domande più frequenti) che permetteranno anche a chi non è a conoscenza delle tematiche antispeciste, di avvicinarsene agevolmente.

In una società liquida – come afferma il sociologo Zygmunt Baumann – dove ogni cosa cambia, si trasforma, si scompone e ricompone, e spesso perde d’identità, è sempre più urgente definire delle basi teoriche comuni e condivise di un’idea, per impedire che la stessa degeneri o venga fagocitata, “addomesticata” e usata dall’opportunismo imperante nella società contemporanea. Lungi dal voler fissare in modo dogmatico dei pilastri ideologici, l’autore del libro fornisce definizioni e suggerimenti per tradurre l’idealità in una pratica di vita contraddistinta dalla giustizia interspecifica, libertà individuale, empatia, e dalla lotta all’antropocentrismo e al dominio sui viventi.


Inventare un nuovo rapporto con gli altri Animali, basato su un concetto egualitario,
significa non solo opporsi alla dicotomia ontologica «Umano-Animale» fortemente
radicata nella nostra cultura, ma farlo tramite strumenti teorici efficaci tanto
quanto quelli che hanno contribuito alla formazione di una simile separazione.
Adriano Fragano (2012)



Approfondimenti

Si suggerisce di visionare “La cassetta degli attrezzi” uno strumento teorico per lo sviluppo del pensiero antispecista.


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45 Commenti

  1. Ciao Antonio,

    Il Manifesto Antispecista come progetto aperto nasce dall’esigenza di creare una proposta di manifesto il più possibile condivisa. Non ci sono intenti assolutistici ed anzi questo sito deve essere considerato come un progetto “open source” dove chiunque può contribuire per migliorarlo.
    Ogni critica è ben accetta, e – lo potrai vedere leggendo i post passati – spesso è divenuta motivo di modifica del manifesto stesso.
    per correttezza nei confronti di chi legge pubblico di seguito il link al blog Laverabestia a cui fai riferimento: http://www.laverabestia.org/read_post.php?id=694&user=18

    Alle tue considerazioni risponde Gaspare scrivendo: “Sarebbe interessante incontrare un “”antispecista”” razzista, sessista, o sfruttatore umano…
    Affermare che l’antispecismo è evoluzione dell’animalismo (termine già specista-antropocentrico etimologicamente, come se l’uomo appartenesse ad un regno esclusivo fuori da quello animale…) è l’errore ideologico più grave.

    L’antispecismo considera la biosfera secondo un modello orizzontale: una rete di relazioni di cui l’uomo è un nodo con pari dignità rispetto a tutti gli altri. L’antispecismo porta a un’estensione del rispetto dovuto alla vita umana includendo in esso la totalità degli esseri. NON E’ ALTERNATIVO al rispetto dovuto alla vita umana. E’ SINCRONO, PARALLELO, CONCETTUALMENTE INDIVISIBILE.

    Il concetto di liberazione animale (intesa come liberazione umana e non umana) TRASCENDE la visione dei diritti animali (principale intento dell’animalismo), in quanto la concessione di “determinati diritti” PRESUPPONE il riconoscimento ad una o più specie della facoltà di concedere tali benefici ad altre specie. La liberazione animale prefigura invece degli scenari molto più complessi nei quali le specie senzienti (si parla per l’appunto di animali) siano in grado di poter esplicitare le proprie vicissitudini senza danneggiare – o danneggiando il meno possibile – le altre. Pertanto dovrà essere l’Uomo che in quanto tale dovrà operare sulla propria organizzazione sociale per poter permettere la liberazione dell’individuo umano e di quello animale, essendo la società umana l’unica in grado di opprimere tutte le altre specie viventi. La liberazione animale, pertanto, conduce ad una visione rivoluzionaria che comporterebbe profondi cambiamenti sociali. Il concetto di liberazione animale assume quindi una notevole importanza nel cammino antispecista, e può considerarsi come una delle tappe fondamentali per la costruzione di una nuova società umana a-specista che sarà in grado di esistere proprio grazie ai fondamenti teorici della liberazione animale.

    Liberando noi stessi, libereremmo anche chi abbiamo schiavizzato.

    La risposta fornita è esauriente e precisa e perfettamente in linea con ciò che intende esprimere il manifesto Antispecista.

    Per quanto riguarda la tutela degli interessi degli animali nell’immediato sarebbe opportuno considerare anche il testo precedente a tale frase, quindi per intero: “L’ottica antispecista pur quindi essendo mutuata da quella della lotta per i diritti civili umani, ha peculiarità e caratteristiche diverse e sostanziali: essa non dovrebbe prevedere concessioni ad altri (allargamento della sfera dei diritti, o allargamento della sfera morale, o allargamento della polis), ma piuttosto il controllo delle proprie attività e delle attività della propria specie in relazione a principi di equità, giustizia e solidarietà nei riguardi delle altre specie (ripensamento delle attività della specie umana in base ai doveri nei confronti delle altre specie viventi non più considerate inferiori, ma semplicemente diverse: persone non umane, e pertanto popolazioni di persone non umane).
    L’azione antispecista mira dunque nell’immediato alla tutela degli interessi degli animali non umani (in quanto privi di diritti elementari e naturali e di status privilegiati), e nel contempo con il pieno riconoscimento dei diritti dei più deboli tra gli umani
    .”

    Il senso del discorso consiste nel prendere atto che una rivoluzione culturale come quella contemplata dall’idea antispecista ha bisogno di molto tempo per essere attuata, nell’immediato quindi ci si deve prendere cura degli interessi dei non umani tutelandoli, difendendoli e proteggendoli, anche quindi mediante la pratica vegana. Forse questo passo non è sufficientemente chiaro, se ti va proponi un testo alternativo.

    Diritti animali. Il fine ultimo dell’antispecismo è la costruzione di una società umana a-specista che non sfrutti più gli animali (liberazione animale). E’ fin troppo chiaro che se la società umana non cambierà radicalmente, i non umani non potranno mai essere liberati. Non si considera in un futuro antispecista il diritto degli animali: il concetto di diritti animali appartiene al versante animalista, l’antispecismo lo supera proponendo non una specie superiore che concede diritti agli inferiori, ma una specie che si assume le proprie responsabilità (ed i propri doveri, non intesi dal punto di vista giuridico, ma morale) nei confronti dei propri simili e degli altri che non sono uguali, ma sono per l’appunto “altri”, ed è questa diversità che deve essere rispettata. Molto spesso si sente parlare di fratelli animali (o fratelli minori etc…), gli animali non sono nostri fratelli, sono altre popolazioni, che come noi vivono sulla terra, sono pertanto nostri compagni.

    Il Manifesto Antispecista si basa su diverse ideologie, ne coglie molti aspetti, li fa propri e tenta di crearne una somma. Non è un tentativo anarchico o comunista di appropriazione di alcunché e sarebbe opportuno anche leggere questo articolo chiarificatore: http://www.veganzetta.org/lettera-aperta-della-veganzetta-al-futuro-movimento-antispecista-le-radici-comuni/

    Risulterà chiaro che l’antispecismo ha molte radici anche diverse tra di loro, ma non appartiene a nessuna ideologia in particolare, non è figlio di una particolare visione del mondo, ma è evoluzione di molte visioni rivoluzionarie. Non potrebbe essere altrimenti.

  2. Nell’ attuale società una delle basi del dominio dell’uomo è la gestione del diritto; minori diritti o non riconoscimento di alcuni dirirtti agli individui cosiddetti sfruttati.
    Una società a-specista nella quale ad una specie non fossero riconosciuti (dico riconosciuti e non concessi) tutti o alcuni diritti, chiaramente compatibili con la condizione degli individui appartenenti a tale specie, non sarebbe una società specista? Nella società che proponete non vi sarà più il dominio dell’uomo sull’uomo, ma rimarrà quello sul resto delle altre specie. Dominio, appunto, che si concretizza nel non riconoscere la titolarità del diritto, e quindi i diritti, agli individui di queste specie, lasciando al libero arbitrio(che chiamate responsabilità) della specie più importante il rispetto della diversità che si concretizzerebbe, in sostanza, nel prendersene cura (welfare?); ed è libero arbitrio considerando che si parla solo di doveri morali e non giuridici. Questa nuova società non sarebbe una società specista?
    Un manifesto antispecista che contiene in sè il germe dello specismo! Meglio sarebbe chiamarlo manifesto a-specista nel quale questo specismo potrebbe essere meglio assorbito .

  3. Il concetto di diritto non può esistere se non vo sono due elementi: chi lo concede (e riconosce) e chi ne usufruisce. Il concetto di diritto nella nostra società è stato ed è motivo di lotte sociali da parte di chi ne pretende, nel caso degli animali è chiaro che non sono in grado di esigerli, pertanto è assurdo parlare di diritti ma si può parlare di doveri morali. In estrema sintesi la società aspecista dovrebbe essere formata da individui consapevoli che limitano le proprie azioni per salvaguardare gli altri. Questo è il motivo per cui si preferisce non parlare di diritti. Non si tratta di libero arbitrio ma di assunzione di responsabilità. Quindi il più forte non può più esigere diritti o concederne, ma ha dei doveri morali a cui sottostare per il bene di tutti. Non può esistere alcuna società umana davvero libera se si continuerà a parlare di diritti. I diritti animali fanno partedel bagaglio culturale animalista, non vanno dimenticati o sconfessati, ma superati. E’ per questo che si parla di diritti animali nell’immediato, il futuro dovrebbe essere ben diverso. Non possiamo continuare ad immaginare il nostro futuro continuando ad analizzarlo con i criteri della società umana attuale.

  4. Un manifesto viene redatto con l’intento di essere letto e di spiegare un’idea, una prospettiva. Un manifesto é un fenomeno di natura SOCIALE. Più che positivo che ciò sia elaborato collettivamente e pubblicamente, poiché la critica lo rende più “forte”, più “solido” sotto il profilo logico-filosofico. Manteniamolo così, aggiornabile, ma intanto usiamolo e divulghiamolo comunque giacché non potrà mai essere definitivo.
    Perlappunto (anche leggendo i commenti successivi alla prima elaborazione) noto la carenza di una riflessione che in prospettiva potrebbe creare contraddizione, e cioé: siamo non già “specie”, ma individui. Non é una “specie” che elabora l’idea. La più parte della “specie umana” non si cura dell’interesse di specie, ma come avviene naturalmente, e comunemente al resto del vivente, segue il proprio istinto di sopravvivenza. La classificazione scientifica in “specie” deve essere ridotta esclusivamente alla comprensione ed alla funzionalità biologica di ciascun individuo, abbia esso le mani, le corna o la coda.
    Ecco, al di là dell’interesse dell’individuo, fatta eccezione per l’estensione familiare, sono esclusivamente alcuni uomini che possono elaborare una visione altruistica del mondo. Comunque la si voglia mettere, siamo solo noi, non l’umanità, noi qui che scriviamo di tali argomenti, a preoccuparci di ciò che é “giusto” o “morale”. Il manifesto dev’essere il progetto di civiltà che indica il rispetto verso gli altri senza distinzione alcuna, ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare che é e resta un fenomeno fatto dall’uomo per l’uomo. Il suo obiettivo sarà ineluttabilmente quello di avere, paradossalmente, un uomo meno animale, un uomo più evoluto capace di sottrarsi al giogo della propria bestialità.
    Smentitemi per favore.

  5. “Un manifesto viene redatto con l’intento di essere letto e di spiegare un’idea, una prospettiva. Un manifesto é un fenomeno di natura SOCIALE. Più che positivo che ciò sia elaborato collettivamente e pubblicamente, poiché la critica lo rende più “forte”, più “solido” sotto il profilo logico-filosofico. Manteniamolo così, aggiornabile, ma intanto usiamolo e divulghiamolo comunque giacché non potrà mai essere definitivo.”

    Come non essere d’accordo con te? E’ esattamente questo l’intento, ma come puoi vedere pare un’impresa abbastanza difficile, comunque nonostante tutto si va avanti nella speranza che risulti un lavoro utile.

    Chiaramente chi si occupa di tali argomenti rappresenta un’avanguardia e come tale ha il difficile compito di formulare pensieri ed azioni che un domani abbiano la possibilità di divenire pensiero comune. Del resto ogni tipo di organizzazione sociale umana è nata da un piccolo gruppo di persone per poi divenire cultura (nel bene e nel male). Il nostro obiettivo (contrariamente a quanto tu dici) è invece in contrario: ottenere un uomo che sia più animale, anzi che torni ad essere completamente animale e che colmi il solco culturale che ha scavato per separarsi dalle altre specie viventi: noi siamo perennemente in guerra con il resto dei viventi e con la Terra, è ora di smettere questa opera di distruzione e cominciarne un’altra di ricostruzione di rapporti e di sensi.

  6. Il sito de “Manifesto antispecista” è stato riorganizzato: è cambiato il criterio di navigazione, sono state tolte alcune pagine ed è stata introdotta una nuova grafica. La speranza è che vi piaccia.

  7. Pubblicata la nuova revisione (rev. 13) in data 6 settembre 2014 del testo di “Proposte per un Manifesto antispecista” con l’aggiunta di una nota che spiega in sitesi il concetto di “painismo”.

    (1) “Painismo” termine che Richard Ryder coniò nel 1990, argomentando che qualsiasi essere vivente che è in grado di provare dolore, ha rilevanza morale. Il “painismo” può essere visto come una terza via rispetto alla posizione utilitarista di Peter Singer, e alla concezione deontologica dei diritti animali di Tom Regan. Il “painismo” combina la visione utilitarista secondo la quale uno status morale deriva dalla capacità di provare dolore, con l’opposizione morale – derivante dal concetto di diritto – all’utilizzo degli Animali per un nostro fine. Sostanzialmente il concetto di “painismo” di Ryder nasce come contrapposizione alla visione utilitaristica del rapporto tra Umano e Animale. Per maggiori informazioni e approfondimenti si suggerisce la lettura di:

    Richard D. Ryder, Painism: a modern morality, Londra, Open Gate Press, 2001

  8. Entro la fine del mese di marzo 2015 verrà pubblicato online il testo integrale del libro Proposte per un Manifesto antispecista (Revisione 14) e reso disponibile per il download gratuito

  9. Riporto in copia questa riflessione perchè credo sia molto importante e significativa:
    “Diritti animali. Il fine ultimo dell’antispecismo è la costruzione di una società umana a-specista che non sfrutti più gli animali (liberazione animale). E’ fin troppo chiaro che se la società umana non cambierà radicalmente, i non umani non potranno mai essere liberati. Non si considera in un futuro antispecista il diritto degli animali: il concetto di diritti animali appartiene al versante animalista, l’antispecismo lo supera proponendo non una specie superiore che concede diritti agli inferiori, ma una specie che si assume le proprie responsabilità (ed i propri doveri, non intesi dal punto di vista giuridico, ma morale) nei confronti dei propri simili e degli altri che non sono uguali, ma sono per l’appunto “altri”, ed è questa diversità che deve essere rispettata. Molto spesso si sente parlare di fratelli animali (o fratelli minori etc…), gli animali non sono nostri fratelli, sono altre popolazioni, che come noi vivono sulla terra, sono pertanto nostri compagni.”

    Gli Animali non sono nostri fratelli sono altre popolazioni. Coraggiosamente si potrebbe dire che sono altri individui, altri esseri viventi senzienti con pari intelligenza, pari sensibilità, pari empatia, pari coscienza. In particolare tutti i mammiferi, più simili a noi per conformità fisiche, possono considerarsi indubbiamente nostri simili. Come non capire coscientemente che ponendoci di fronte al viso di un Cane, una Mucca o un qualsiasi Animale…si possa percepire un pensiero, un emozione, una reazione psico-fisica dettata da un movimento degli occhi o da uno sbuffo del respiro o ancora da un gesto affettuoso che tale Animale potrebbe svolgere nei nostri confronti. Come non provare per esempio con un nostro compagno d’affezione…o anche più semplicemente, ma forse in maniera più ostica, osservando le Formiche durante il loro laborioso lavoro, o le Gazze in amore a primavera. Se si concepisce questo, tramite una profonda presa di coscienza, forse ci si rende conto, e si assimila, che ogni essere vivente esistente sul pianeta è esclusivamente puro e di diritto libero di gioire della propria esistenza.
    La nostra società umana è specista fin dalla sua nascita. Probabilmente l’Umano è tendenzialmente specista per natura fin da quando ha scoperto l’uso del fuoco e della ruota. Concretamente, e solo ipotizzando probabili teorie, l’essere umano ha inconsciamente un desiderio di predominio che è intrinseco propriamente all’interno di se stesso.
    Quindi cosa fare? Inutile procedere testardamente verso una concezione assoluta dei diritti animali. Questo è scontato, ma al pari lo sono anche quelli degli umani. Nulla mai si otterrà concretamente se si procederà verso una protezione “violenta e dittatoriale” a favore della salvaguardia animale. Ciò è in parte un dovere esclusivo di alcune fazioni animaliste che di diritto devono assolutamente praticare azioni dirette e controllate per contrastare l’azione predominante e sanguinaria dell’Umano specista. Sarebbe come lottare contro mulini a vento inarrestabili che da secoli continuano a resistere fortemente a favore di raffiche di vento in continua ascesa. Quanti più Animali verranno protetti e liberati tanti altri verranno imprigionati e seviziati per alimentare un circolo vizioso e macabro.
    Il percorso da intraprendere è lungo ed impietoso, ma l’antispecisco vero nella sua ideologia vuole spezzare questa incontrovertibile forza predominante che perdura da troppo tempo.
    Alcuni dicono che finchè l’essere umano non si libererà da egoismi passionali egocentrici mai potrà capire e condividere la bellezza di tutto l’ecosistema terrestre, nella sua integrità e purezza degna di ogni diritto naturale e primordiale. Alcuni altri paragonano il suo operato crudele ad un altro essere vivente molto diverso, dissoluto e privo di ogni remora morale rispetto alla moltitudine di specie esistenti: il virus. Non è difficile osservare un Leone, o un altro qualsiasi predatore libero in natura, in base a come sviluppa ed applica il proprio instinto cacciatore, generato solo ed esclusivamente da un bisogno primario dettato da una fame necessaria ed utile alla sua sopravvivenza.
    Inutile pertanto riflettere come e su cosa invece l’essere umano applica oggi come ieri la sua ingordigia, in tutta la sua ferocia e crudeltà. Basta osservare usi e costumi odierni in un epoca capitalista consumista di cui oggi e domani ogni Umano è complice e purtroppo parte integrante.
    Il veganismo etico è sicuramente un ottimo mezzo di diffusione informativa, condivisibile, da attuare e perseguire.
    Tutto ciò che ne consegue eticamente è assolutamente accettabile ed utile alla causa.

  10. Come giustamente Roberto fa notare gli Animali non sono nostri fratelli, o fratelli “minori” come qualcuno afferma, ma non sono nemmeno nostri amici, o non necessariamente, sono altri individui, altre popolazioni di individui, altre società non umane.
    In quanto esseri viventi e senzienti vanno rispettati, questo a prescindere dal grado di intelligenza – sempre e solo valutata secondo canoni umani – sensibilità, empatia e coscienza. Ciò che l’antispecismo evidenza non è il diritto degli altri a poter vivere, ma il dovere di noi Umani di contenerci, di controllarci e di reinterpretare il nostro ruolo in seno alla natura, ruolo che abbiamo stravolto e mistificato per millenni. Forse possiamo affermare che la pratica antispecista è una forma di autocontrollo e di autocritica e che l’idea antispecista, in fin dei conti, riguarda prettamente l’Umano, per una volta osservato attraverso una lente non antropocentrica.

  11. Ho letto il libro in un baleno. E’ un utilissimo vademecum, significativo, chiaro nella forma e nel contenuto.
    Interessante il capitolo sulle considerazioni, e quello sulle definizioni: spesso viene confuso il concetto di maltrattamento con quello di sfruttamento ma qui è ben spiegato che cosa sia lo sfruttamento.
    Interessante la differenza tra animalismo e antispecismo: purtroppo vengono spesso confusi. Ci chiamano animalisti o animaliste ma noi sappiamo che non è corretto.
    Una cosa non mi è del tutto chiara. Nella FAQ 6 (pag.43) è scritto “il fine non giustifica mai i mezzi”. Non so se sia applicabile in assoluto questo principio. Per esempio, sono favorevole all’eutanasia, sia su esseri umani che su esseri non umani e mi sono trovata nella condizione di scegliere se mantenere in vita il mio cane o farlo morire. La sofferenza a cui andava incontro era inaccettabile, secondo me. Non so se lo sarebbe stata anche per lui, così ho deciso io e ho scelto di farlo morire. L’eutanasia, quindi ucciderlo, è stato un mezzo per giustificare un fine: la cessazione della sua sofferenza. Forse, in un certo senso, è stata anche quella un’affermazione del mio dominio e del mio controllo su di lui, cosa che l’antispecismo non accetta. Stessa cosa accade con le sterilizzazioni, gli aborti. Sono pratiche a cui sono favorevole ma mi pongo certamente qualche domanda: anche quelli sono mezzi piuttosto “critici” che giustificano un fine, secondo me giusto. Tutto ciò per dire che il fine non giustifica i mezzi, con le eccezioni che confermano la regola.
    Interessante anche la FAQ 8 con l’annosa questione sui (presunti) antispecisti fascisti, nazisti eccetera… Sono inquietanti solo a sentirli fare questa dichiarazione, eppure ci sono estremisti di destra che sbandierano il loro antispecismo.
    Interessante la FAQ 9 sul rapporto tra antispecismo e anticapitalismo. E’ vero che chi è antispecista deve essere certamente anticapitalista ma è altrettanto vero che ci sono moltissime persone che si vantano di combattere il capitalismo ma se guardi nel loro frigorifero, nel loro bagno, nel loro armadio e nella loro scarpiera trovi il regno del capitalismo.
    Mi piace la copertina con il possibile logo ufficiale del manifesto. Ce ne sono altri candidati? Chi deciderà?
    Oltre a ringraziare Adriano per l’ottimo lavoro fatto, mi associo ai ringraziamenti che Adriano fa a Monica Bertini, Ada Carcione, Luca Carli e Massimo Roccaforte.
    Ai Veganzettisti e alle Veganzettiste consiglio, non solo di leggerlo, ma di regalarlo: per noi quelle sono cose già note ma per la maggior parte della gente che ci circonda no.

    • Grazie Paola per il commento sul libro “Proposte per un Manifesto antispecista”.

      Il parere di lettrici e lettori è fondamentale per comprendere eventuali punti critici e per migliorare il testo che è aperto e che subirà future revisioni.
      Per quanto riguarda il concetto del fine che non giustifica mai i mezzi, il tutto è espresso cercando di far comprendere che mezzi e fini non sono disgiunti e che i mezzi stessi rappresentano già una concretizzazione del fine: l’applicazione di tale concetto nella realtà è ben altra cosa, purtroppo, e comporta sempre una considerevole dose di discrezionalità. Ciò che tu hai fatto per il tuo Cane è un gesto di amore e di rispetto: hai cercato di porre fine alla sofferenza di un essere senziente evidentemente condannato da una malattia in fase terminale. Decidere della vita degli altri è sempre una questione moralmente pesantissima, anche in questo non dovrebbero esserci differenze tra Umani e Animali. L’idea antispecista pone al centro l’individuo, non la vita in quanto tale: se e quando la qualità della vita di un individuo diviene inaccettabile, bisogna intervenire anche per porre fine alle sofferenze quando sono ormai inutili. Sul concetto di qualità della vita inaccettabile ci sarebbe molto da dibattere in ambito antispecista per arrivare a una visione il più possibile comune. La tua decisione forse è stata un’affermazione di dominio, forse no. Non potendo comprendere appieno gli Animali che si trovano in una situazione come quella da te descritta, non potremo mai conoscere in dettaglio le volontà, dobbiamo quindi agire con il massimo rispetto e la massima coerenza cercando di svilcolarci dalla nostra visione parziale e antropocentrica: la teoria pare semplice, la pratica è tutt’altra cosa.
      Le questioni sterilizzazione e aborto sono simili a quella dell’eutanasia e necessitano di un approfondimento, sia dal punto di vista delle prospettive future antispeciste, sia per questioni contingenti (la proliferazione di Animali cosiddetti “da compagnia” che poi subiscono abbandoni, maltrattamenti e sfruttamento); in ogni caso andrebbe tutelato l’individuo che dovrebbe poter vivere una vita dignitosa e libera, e non il concetto di vita come valore in sé.

      I tuoi dubbi sono del tutto legittimi e forse tali argomenti potrebbero divenire parte integrante del futuro testo del Manifesto, o magari specificandoli meglio nelle F.A.Q.

      Il logo proposto per il momento è l’unico, non vi sono altre proposte grafiche, in ogni caso non è nemmeno necessario che se ne adotti uno.
      Anche il logo, come tutte le altre proposte del libro, è passibile di modifiche provenienti da tutte le persone che vorranno intervenire e partecipare al lavoro collettivo.

      Grazie per il tuo interessante commento e per i tuoi utili consigli.

  12. Commento al libro ricevuto via email e pubblicato con l’assenso della persona che lo ha inviato:

    Ciao Adriano.
    Ho letto la Proposta e ne condivido fondamentalmente i principi, i richiami alla giustizia, al pacifismo, alla nonviolenza, alla solidarietà, alla compassione, all’empatia, alla libertà, verso umani e non umani.
    C’è un unico punto in cui non mi trovo d’accordo nella prassi: vale a dire il rifiuto a rivolgersi alle istituzioni. E’ cosa che a me capita di fare: quando mi rivolgo alle amministrazioni comunali per sollecitare regolamenti a tutela degli animali, ai politici perché facciano leggi che vietino l’uso degli animali nei circhi, alle biblioteche perché dedichino settori alla letteratura antispecista, e via di seguito.
    Sono profondamente convinta che le cose cambieranno veramente solo in virtù di un rivolgimento totale, che è quello che nella Proposta viene descritto. Ma sono anche convinta che la metodologia non possa fare a meno di contatti con il potere.
    Si possono anche fare 10000 manifestazioni all’anno contro l’uso degli animali nei circhi, ma finché il parlamento non promulgherà una legge al proposito, la fatica sarà immensa e i risultati debolissimi. E una legge la può fare solo il parlamento.
    Immagino che la Proposta sia il frutto di infinite discussioni e che avrete a lungo parlato di tutto; ma per quanto io ci pensi, non riesco a pensare che la strada sia quella che alla fine avete indicato.

    Ci sarà modo di riconfrontarci, penso.
    A presto per tutto e buona giornata intanto.

    Annamaria

  13. Anche io sono d’accordo con Annamaria ma non ho tanto insistito su questo aspetto perché so come la pensa Adriano sulla questione istituzioni e, da un certo punto di vista, lo comprendo. E’ vero che con le leggi si chiudono certi lager animali ma forse non cambia la testa della gente che resta profondamente specista. Avremmmo meno orrore in quanto certi comportamenti non si manifesterebbero più perché vietati, non perché la gente non si sentirebbe più di manifestarli. Comunque con le istituzioni cerco pure io di dialogare, fino allo sfinimento! Qualcuna risponde, talvolta con buoni risultati. Non si può certo dire che qualche passo avanti significativo non si sia fatto. Annamaria ha accennato al circo con animali che è uno degli esempi più chiari di questo dialogo. In certi Paesi non esiste più. Noi vorremmo che il NO al circo con animali partisse dal basso e che i tendoni fossero vuoti perché quello fosse ritenuto uno spettacolo ripugnante ma non so se accadrà mai. Certamente il nostro messaggio educativo deve essere diffuso ovunque ma che arrivi ovunque è dura. Nella prossima edizione del manifesto io e Annamaria proponiamo un’approfondimento del discorso istituzioni… Facciamo sudare Adriano…

    • Care Annamaria e Paola,

      Grazie per i commenti e per aver esposto le vostre posizioni e i vostri dubbi sulla questione antispecismo e istituzioni.
      Mi limiterò pertanto a esporre per sommi capi la mia posizione che spero possa essere utile, anche se l’argomento meriterebbe ben altri approfondimenti.

      Parliamo e ragioniamo di antispecismo, ma ancora non riusciamo appieno a comprenderne la portata dello specismo e addirittura a percepire appieno il ruolo fondamentale che ricopre nella società umana attuale. La società umana specista ci genera e ci educa: da essa abbiamo ricevuto un’educazione a una visione dell’esistenza che è esattamente ciò che tale società esige da noi. E’ chiaro che in tale situazione sia quasi impossibile svincolarsi dalle logiche speciste e seguire con coerenza e fino in fondo i nostri convincimenti antispecisti: la situazione sociale, culturale, politica e storica impongono continui atti di mediazione da parte nostra.
      Ciò solo per comprendere lo stato delle cose.
      Ciascuna persona antispecista ha chiaramente facoltà di decidere in perfetta autonomia cosa significhi “mediare” e fino a dove possa spingersi nella sua condiscendenza alla società specista in cui vive, ritengo però che vi siano dei limiti oggettivi, oltrepassando i quali l’idea stessa di antispecismo rischierebbe di perdere la sua identità.
      Proverò a spiegare l’importanza di tali limiti mediante un esempio.

      Poniamo di essere un movimento antirazzista che opera all’interno di una società civile dichiaratamente razzista (come il Sudafrica dell’apartheid); poniamo di dover decidere le linee strategiche di intervento per combattere il razzismo della nostra società e trasformarla in una società non razzista e libera. Come specificato in precedenza essendo antirazzisti costretti a vivere in una società umana razzista, dovremo cedere al compromesso per poter continuare a sussistere all’interno di tale società per combatterla dal suo interno. Con questi presupposti passiamo ora a considerare le vostre proposte: considerare un dialogo con le istituzioni razziste.
      La domanda che vorrei farvi a tal proposito è: in qualità di antirazziste vorreste avere a che fare con delle istituzioni dichiaratamente razziste, che emanano leggi razziste, che segregano, discriminano, perseguitano, controllano e dominano una parte della popolazione solo perché considerata di una razza diversa?

      L’attivista antispecista si dovrebbe opporre allo specismo radicato nella nostra cultura, politica, economia e nelle nostre istituzioni, tanto quanto un attivista antirazzista si opporrebbe ad una società dichiaratamente razzista come quella del Sudafrica dell’apartheid o quella schiavista statunitense antecedente alla guerra civile americana; i limiti a cui si faceva riferimento in precedenza, grazie a questi esempi, possono divenire più palesi e delineati: non è possibile mediare e collaborare con le istituzioni di una società umana che è dichiaratamente specista. Non si dovrebbe, pertanto, avanzare delle richieste alle istituzioni di una società umana specista perché provveda a sanare una situazione di assoluta ingiustizia che essa stessa rappresenta, mantiene in vigore e alimenta.
      Di sicuro la percezione dello specismo è ancor più problematica di quella del razzismo, si tratta di considerare esseri senzienti che non appartengono nemmeno alla nostra specie e che possono essere biologicamente lontanissimi da noi. Esseri che non conosciamo se non sommariamente, che non comprendiamo, che non possono difendersi e che non avanzano istanze; è quindi chiaro che le problematiche a cui far fronte siano numerosissime, nonostante ciò ritengo che il compito dell’attivismo antispecista sia quello di creare un conflitto culturale e sociale che causi una discontinuità con il passato e che permetta alle persone umane di reinterpretare il loro rapporto con gli Animali. I nostri soli referenti, pertanto, dovrebbero essere la società civile e le singole persone umane che, mediante una presa di coscienza individuale e collettiva, arrivino a costringere le istituzioni a prendere provvedimenti drastici, fino a giungere a un punto di rottura capace di minare la struttura stessa della società umana specista.

      Riprendendo il vostro esempio del circo. Voi stesse ammettete che una legge contro i circhi non cambierebbe la mentalità delle persone, le quali sarebbero semplicemente costrette dal potere esercitato delle istituzioni mediante le leggi, a non usare Animali nei circhi: ciò non eliminerebbe la causa del problema (l’idea che sia giusto e normale usare Animali nei circhi), ma solo una delle sue conseguenze (l’uso di Animali nei circhi). Di certo per migliaia di Animali una legge contro i circhi che li detengono significherebbe la salvezza, per tale motivo non è possibile affermare che una soluzione di questo tipo sia del tutto negativa, ma solo che in quanto antispecisti non dovremmo chiedere allo Stato specista di intervenire perché ciò significherebbe riconoscerlo come referente accettandone il ruolo, e puntare all’emanazione di una legge che non favorirebbe un reale progresso morale, ma costituirebbe solo un metodo coercitivo per correggere una pratica ingiusta.

      Ciò per cui si dovrebbe lottare è un circo che non sfrutta più gli Animali perché la gente non vuole più vedere spettacoli del genere, in quanto crudeli e ingiusti. Solo in questo modo potremmo aspirare alla scomparsa definitiva del circo con Animali.

      • Carissimi Adriano e Paola, mi rendo conto che il discorso potrebbe proseguire all’infinito e che ogni osservazione può essere controbattuta. Quello che io penso, comunque, è che ognuno di noi vive all’interno di una società che è assolutamente specista dalle fondamenta, oltrechè classista, ingiusta, spesso razzista e che è inevitabile, in qualche modo, usarne gli strumenti. Mi limito a questa osservazione: il pensiero comune e le leggi si pongono in un rapporto estremamente dialettico: il pensiero comune incide sui legislatori che dovranno prima o poi tenerne conto. Ma è anche vero che le leggi plasmano il pensiero: è fondamentale, per esempio, che la legge non contempli la condanna a morte, perchè questa realtà, con cui si convive, viene prima o poi introiettata, anche se non da tutti. Non posso aspettare che il pensiero comune evolva o involva ad ogni piè sospinto e in continuazione riproporre il problema aspettando che la coscienza di tutti arrivi alla convinzione condivisa che la condanna a morte non sia accettabile. A volte è il pensiero comune ad essere avanti, a volte sono le leggi. La condanna della pena di morte non ha certo risolto tutti i problemi, ma è assolutamente fondamentale; nei paesi occidentali dove è permessa, come gli Stati Uniti, è molto più complesso portare avanti un discorso di diritti umani: a pagarne un prezzo sono prima di tutto i condannati, in secondo luogo tutti coloro che si formano all’interno di un contestao del genere. Davvero dobbiamo aspettare una cultura che in modo omogeneo si esprima contro l’uso degli animali nei circhi, prima di pretenderne la fine? Non possiamo dimenticare che il loro uso nei circhi è proprio uno degli elementi che si frappone all’idea dell’inaccettabilità di questo stato di cose. Un abbraccio.

      • Caro Adriano, anch’io porto spesso l’esempio del razzismo e dei Paesi in cui il razzismo è riconosciuto e, come te, non lotterei affinché le persone discriminate fossero “trattate meglio” ma piuttosto che fossero trattate come quelle non discriminate, abolendo così la discriminazione razziale. Abbiamo la certezza che, abolendo la discriminazione razziale con la legge, la aboliremmo anche nella testa della gente? Certamente no, tant’è che il razzismo è vivo e vegeto anche dove è perseguitato per legge.
        Rispondo alla tua domanda “in qualità di antirazziste vorreste avere a che fare con delle istituzioni dichiaratamente razziste, che emanano leggi razziste, che segregano, discriminano, perseguitano, controllano e dominano una parte della popolazione solo perché considerata di una razza diversa?”
        E’ chiaro che io in queste istituzioni non mi riconosco e il mio “avere a che fare con loro” consisterebbe nel volerle ribaltare, come ribalterei il circo, privandolo degli animali. C’è poco da dialogare con un’istituzione razzista, come con un circo con animali però si possono fare denunce, controlli, referendum, mozioni…
        Come scrivi tu, sarebbe bello che “I nostri soli referenti, pertanto, dovrebbero essere la società civile e le singole persone umane che, mediante una presa di coscienza individuale e collettiva, arrivino a costringere le istituzioni a prendere provvedimenti drastici, fino a giungere a un punto di rottura capace di minare la struttura stessa della società umana specista.”
        Sono fiduciosa in questi referenti ma non credo debbano essere i “soli”. Certe volte mi parte proprio da dentro la voglia di protestare e non la trattengo, cadendo in quello che tu consideri un errore, cioè riconoscere lo Stato specista e dargli il potere coercitivo, ma vedo anche dei miglioramenti che salvano la vita degli animali e finisce che la parte emotiva di me prende il sopravvento.

        • Care Annamaria e Paola,

          Alle vostre osservazioni posso rispondere con un esempio pratico che mi permette di limitare le mie osservazioni ad un mero fatto utilitaristico, tralasciando il versante etico già discusso.
          L’Italia ha una delle leggi migliori in Europa contro il randagismo (la legge 281/91) ma siamo ancora sommersi da Animali abbandonati che conducono una vita di privazioni, stenti e terrore. Cani e Gatti perseguitati, avvelenati, torturati e uccisi per puro divertimento. Volontarie e volontari dei rifugi giustamente si affannano per aiutarli e le istituzioni – anche per questo – se ne lavano le mani, dopo tutti questi anni obiettivamente si può dire che il randagismo in Italia sia stato sconfitto? La risposta è assolutamente no. Anzi ci sono sempre più sindaci e assessori comunali che propongono soluzioni aberranti per controllare gli Animali randagi.
          Non parliamo della caccia, degli Animali cosiddetti “nocivi” e via discorrendo.
          Si potrebbero citare tantissimi altri esempi, si potrebbe anche per un attimo tralasciare la questione animale, per gettare uno sguardo anche ai diritti fondamentali umani per constatare che razzismo, sessismo, omofobia, xenofobia sono ad oggi (mai come oggi) fenomeni in forte crescita nonostante impianti legislativi sempre più specializzati.
          La proposta antispecista potrebbe in questa situazione rivelarsi realmente innovativa e alternativa, se solo si avesse il coraggio di portarla fino in fondo.

  14. Finalmente leggo le proposte per un manifesto.
    Non ero certa di voler aggiungere questi commenti in modo pubblico perché alla fine possono essere considerati inutili dettagli, un voler mettere puntini dove di i non ce n’è neppure.
    Quindi spero che non vengano mal interpretati, anche perché credo di poter condividere, di base, le idee che in questo libro si sono raccolte e ringrazio Adriano per averlo scritto.

    Così, queste sono alcune delle cose che ho pensato leggendolo…
    Si parla di esseri senzienti con i propri interessi da perseguire, interessi che devono essere rispettati. Del cambiamento che questo riconoscimento deve portare al loro “status etico” e del conseguente necessario mutamento dei rapporti.
    A mio parere non sono le caratteristiche che noi riconosciamo agli altri animali che dovrebbe portarci a riconsiderarli e riconsiderare di conseguenza il nostro rapporto con loro. Questo perché la valutazione che noi facciamo di loro è del tutto arbitraria, basata sulle nostre capacità di comprendere e analizzare, capacità limitate che progrediscono con il progredire della scienza ma che non possono e non potranno mai considerarsi certe nè tantomeno assolute.
    Inoltre non è la considerazione che possiamo avere di questo o di quell’altro animale che deve portarci, a mio parere, a decidere di non abusarne, bensì il semplice fatto di non avere alcun diritto di farlo, qualunque grado di senzienza possa avere colui/colei che abbiamo di fronte.
    E questo non sentirsi in diritto di sfruttare/abusare vale poi quindi per gli altri animali così come per le piante, l’ecosistema, l’intero mondo su cui poggiamo i piedi e dal quale dovrebbe essere lecito prendere solo ciò di cui necessitiamo, riportando il termine “necessità” al suo più essenziale significato, come anche sottolineavi tu.
    Non appropriarsi, non disporre dell’altro, qualunque altro esterno a noi, non sentire di averne il diritto.

    Non è solo questione di rispetto e tutela di altri animali e umani svantaggiati, inoltre. Secondo me in quelle due parole “liberazione animale” c’è già tutto. C’è già tutto nel momento in cui ci consideriamo parte di quel “animale” non perché ci sentiamo parte di una fascia svantaggiata, ma perché la liberazione non è solo quella dalle gabbie di una discriminazione subita, ma dalle gabbie di discriminazione perpetrata senza averne coscienza, a causa del meccanismo di cui non siamo altro che ingranaggi che allo stesso tempo triturano e sono triturati, anche quando l’apparenza ci vedrebbe libere persone più o meno benestanti, felici e libere. Liberi non siamo, per questo la liberazione ci riguarda tutti così tanto direttamente.

    Non “risorsa” ma “ricchezza”…
    Nè risorse nè ricchezze a mio parere perché il questo modo credo si tenga troppo centrato il punto di vista. Non “cose utili per” ma cose fini a se stesse. Ciò di cui il mondo è composto non è lì per noi nè per gli altri animali ma ha un senso proprio, non subordinato.
    Anche perché è sempre questione di punti di vista. A tal proposito citerei Michael Pollan e la sua intuizione giuntagli in un pomeriggio di maggio in cui la vista su ciò che aveva di fronte si è improvvisamente ribaltata. E così si è chiesto se fosse lui a desiderare di coltivare le piante che aveva scelto per il suo giardino oppure se quelle stesse piante non fossero evolute in modo tale da suscitare in lui, umano, il desiderio di prendersene cura, sfruttando questo suo desiderio a loro vantaggio per trarne protezione e accudimento, nonché maggiore possibilità di diffusione. Chi è utile a chi, dunque?

    Riguardo la compattezza e l’univocità di un movimento antispecista, anche io penso non sarebbe auspicabile perché non è la massa che si vuole, credo, ma menti autonomamente pensanti. Ho appena trovato una riflessione a proposito in un bell’articolo di Marco Reggio, dove però si riconduceva al problema dell’identità. Discorso che condivido, anche se la prima cosa che mi viene in mente e per cui un’ipotetica compattezza mi suona stonata risiede nel pensiero che la consapevolezza necessaria alla liberazione dalle gabbie mentali è fatta credo di necessità di interrogarsi e non di risposte preconfezionate o percorsi tracciati. La massa non è mai una cosa desiderabile, perché la massa è facilmente governabile, in una direzione o nel suo opposto, non lo sono invece i singoli individui capaci di analisi e valutazioni, di pensiero insomma.

    • Cara Simona,

      Grazie per aver letto il libro e per averlo commentato condividendo i tuoi pensieri con noi.

      Per quanto riguarda il primo punto che evidenzi (gli interessi dei senzienti), probabilmente andrò un pio’ fuori tema, ma mi preme chiarire alcune questioni.
      E’ chiaro che quando si parla di rapporti tra Umani e altri viventi è necessario sempre considerare la nostra visione limitata. Per quanto ci sforzeremo di essere imparziali e distaccati siamo e saremo sempre una parte che osserva il tutto e che ne è compresa, per tale ragione non riusciremo mai ad avere una posizione totalmente obiettiva e una visione globale.
      Dopo questo necessario preambolo dal sapore vagamente metafisico, si può affermare che quando si parla di “esseri senzienti con i propri interessi da perseguire, interessi che devono essere rispettati”, non si parla di un grado di senzienza, ma di esseri che con proprie caratteristiche e peculiarità perseguono fini propri. E’ indubbio per esempio che a prescindere dal grado di sviluppo mentale sia una Formica, sia un Gorilla desiderano vivere e rifuggono la sofferenza. Quando pertanto si parla di interessi che devono essere rispettati è a questo che ci si riferisce, non alla complessità o al grado di sviluppo (parametro sempre e solo fossato in chiave antropocentrica) degli esseri viventi in questione. Probabilmente questo punto non era sufficientemente chiaro.
      Sulla conoscenza degli altri viventi è inoltre necessario dire che senza di essa non li si potrà mai veramente rispettare. La scienza umana è sempre stata improntata allo studio degli altri per trarre profitto per la nostra specie: conoscere per sfruttare. In un futuro ipotetico si dovranno studiare le altre forme di vita che ci circondano, per meglio comprenderne caratteristiche ed esigenze, senza una conoscenza disinteressata degli altri non potremo mai capire ciò che per loro è bene e ciò che non lo è: conoscere per rispettare.
      Ciò solo per dire che non si tratta di riconoscere delle caratteristiche agli altri Animali, ma solo di conoscerle. Che non si giungerà mai a comprenderle completamente è chiaro e ciò si riallaccia al discorso fatto in precedenza sulle limitate capacità umane.

      Risorsa/Ricchezza: il significato del termine risorsa è chiaro, quello di ricchezza lo è meno. La ricchezza non è intesa come varietà di cose utili per uno scopo, ma semplicemente come varietà ampia. Una foresta è ricca di vita, un bosco ricco di Piante e Animali, e così via. La ricchezza come dovrebbe essere intesa è semplicemente la constatazione dell’enorme varietà di forme di vita che popolano il pianeta Terra. Non c’è alcuna volontà di individuare una funzione o una utilità per gli Umani. Proprio per tale motivo non si dovrebbe parlare di risorse naturali, ma di ricchezza della Natura.

      Compattezza: tu affermi che “la massa è facilmente governabile”, probabilmente è così, ma è anche vero che per degli Animali sociali come noi, il numero di individui che condivide una determinata visione ha un proprio peso specifico, è altresì vero che spesso i singoli individui sono molto peggio della massa e che esiste un pensiero di massa, una intelligenza collettiva che a volte è molto meglio di quella dei singoli individui.

  15. Nella pagina dell’articolo “Sono anarchico, dunque antispecista” (https://www.manifestoantispecista.org/web/sono-anarchico-dunque-antispecista), si è sviluppata un’interessante discussione con Andrea. Il confronto essendosi spostato su argomenti non più strettamente attinenti all’articolo in questione, ma di carattere più generale, viene traslato in questa pagina.
    Di seguito risponderò all’ultimo commento in ordine di tempo di Andrea che è il seguente: https://www.manifestoantispecista.org/web/sono-anarchico-dunque-antispecista/#comment-964
    Chiedo scusa anticipatamente alle lettrici e ai lettori per questo “slalom” tra le pagine.

  16. Risposta al commento di Andrea consultabile a questo indirizzo: https://www.manifestoantispecista.org/web/sono-anarchico-dunque-antispecista/#comment-964

    —————————–

    Andrea scrive: «i punti su cui mi sembra più utile proseguire il dialogo sono quelli relativi ai paralleli con l’antischiavismo e alla presunta impossibilità del successo di un approccio abolizionista ai diritti animali».

    Continuiamo quindi seguendo questa traccia e analizzando per quanto possibile il parallelo tra la lotta contro la schiavitù umana (nello specifico quella contro la schiavitù degli Umani neri negli U.S.A.) e quella contro la schiavitù degli Animali.

    Andrea scrive: «Anche il più fervente antischiavista vissuto negli Stati Uniti della prima metà dell’Ottocento avrebbe avuto serie difficoltà a non “partecipare” in qualche misura al sistema schiavista».

    A mio avviso non è così. Per prima cosa è doveroso affermare che la schiavitù umana negli USA fa viene esplicitamente legittimata nel momento in cui è sancito il diritto degli Umani bianchi a “possedere” e sfruttare gli Umani neri nella Costituzione degli Stati Uniti d’America pubblicata nel 1787. Chiaramente prima di tale data la pratica della schiavitù degli Umani neri e non solo (sotto varie forme) era già presente, ma solo in alcune zone e con modalità diverse. Solo dal momento in cui la schiavitù umana diviene legale e riconosciuta è possibile affermare che gli U.S.A. diventano un’unione di Stati razzisti e segregazionisti e che quindi la società statunitense tutta viene plasmata secondo queste prospettive. Affermare che un antischiavista statunitense all’epoca avrebbe avuto serie difficoltà a non partecipare in qualche misura al sistema schiavista è però un errore sostanzialmente per tre motivi.

    1) Perché gli schiavi Umani neri negli U.S.A. non sono mai arrivati oltre il 20% della popolazione umana totale statunitense, mentre la popolazione degli Animali schiavi nella società umana specista è enormemente maggiore ed ubiquitaria rispetto a quella umana. Dunque molto probabilmente era possibile “evitare” di incappare in attività schiaviste negli U.S.A. dell’800, mentre è quasi impossibile farlo nella società specista umana attuale (nella sola Italia ogni anno vengono allevati più di mezzo miliardo di Animali per destinarli alla macellazione, questo senza contare i Pesci, in pratica gli schiavi animali sono ovunque).

    2) Perché ci sono Stati degli U.S.A. in cui la schiavitù umana di fatto non è mai esistita sin dalla fondazione dell’unione stessa (un riscontro di quanto affermato è presente nella tabella riassuntiva dei dati statistici sulla popolazione U.S.A. nel 1790: https://en.wikipedia.org/wiki/1790_United_States_Census). Dunque un antischiavista avrebbe potuto agevolmente optare di vivere in uno di questi Stati. Un attivista antispecista non potrebbe di certo fare lo stesso, considerando che la schiavitù animale è presente e praticata in tutte le società umane di tutti i Paesi, senza alcuna esclusione.

    3) Per ultimo perché gli schiavi Umani venivano impiegati all’epoca all’interno delle proprietà private dei loro “padroni” bianchi e quasi mai per la realizzazione di opere pubbliche (dove venivano impiegate le fasce di immigrati più poveri e i detenuti destinati ai lavori forzati), quindi non era difficile per un antischiavista evitare ad esempio l’utilizzo di infrastrutture costruire o gestite con l’uso di schiavi umani. Per un antispecista questo non è possibile dato che persino l’asfalto delle strade ha componenti derivanti dai corpi degli Animali. La schiavitù animale è caratterizzata da una presenza e pervasività assolute.

    Andrea scrive: «Molte norme, leggi e consuetudini resterebbero del tutto in piedi anche dopo aver abolito la proprietà degli animali. Gli schiavi proprio questo erano: proprietà di altri uomini, come gli animali oggi».

    Non è possibile un paragone le pratiche della schiavitù umana e quelle della schiavitù animale nemmeno (e soprattutto) in questo caso. Sebbene dal punto di vista teorico esse sono paragonabili (nelle intenzioni, nei concetti di base e nelle giustificazioni morali), sul lato pratico sono molto distanti. Qualora giungessimo per ipotesi alla liberazione animale, essa significherebbe il crollo di gran parte delle convenzioni e degli accordi sociali umani in essere, a partire dalla proprietà privata e dal suo stesso concetto. Se dopo l’abolizione della schiavitù umana negli U.S.A. gli ex schiavi neri (in virtù del fatto che appartenevano alla specie umana come i bianchi), entrarono a pieno diritto nella società statunitense come cittadini (godendo di diritti, assumendo dei doveri e accettandone le regole), lo stesso non si può nella maniera più assoluta dire in caso di liberazione degli Animali che non appartengono alla specie umana, che hanno proprie società ed esigenze specie specifiche, che non desiderano affatto rimanere all’interno della società umana a loro aliena e non ne riconoscono le regole. Se quindi con gli ex schiavi umani le istituzioni della società umana degli Stati Uniti sono arrivate a degli accordi inclusivi, nulla di tutto ciò potrà mai avvenire con gli altri Animali ex schiavi che non ci riconosceranno di certo il diritto di possedere e gestire l’intero pianeta a nostro piacimento. Dunque in una società umana aspecista sarà un grande problema anche solo decidere di costruire una casa o una strada, o dichiarare che un pezzo di terra è solo “nostro”.

    Andrea scrive: «È chiaro che molte strutture andrebbero ripensate, ma si tratta delle stesse strutture che con il loro impatto deleterio stanno mettendo seriamente a rischio la sopravvivenza degli animali umani, degli ecosistemi e più in generale della vita sulla Terra».

    Il fatto che il nostro modo di vita e la concezione patologica che abbiamo della Natura ci stiano spingendo verso il baratro, non è un argomento pertinente in questa discussione.

    Andrea scrive: «Si tratta in linea di principio di accordare agli animali non umani degli standard di trattamento che non siano discriminanti rispetto a quelli accordati agli animali umani».

    Nel momento in cui si parla di accordare agli Animali degli standard di trattamento, dato che non c’è la possibilità oggettiva di arrivare a degli accordi con altre società animali che possano essere universalmente riconosciuti, si sta inevitabilmente parlando della restrizione del nostro diritti a sfruttare gli altri e delle nostre possibilità di muoverci, agire, consumare, usare, costruire o distruggere. Dunque una rivoluzione antispecista sarà inevitabilmente una enorme opera di autoregolazione e di autocontrollo umano individuale e collettivo. Che ciò porti anche benefici alla nostra stessa società e all’ambiente è un altro discorso.

    Parlando delle città contemporanee, Andrea scrive: “Queste strutture non sono dannose solo per gli animali non umani, ma anche per gli animali umani e per la sopravvivenza stessa dell’ecosistema. La necessità di rimuoverle è quindi a monte, prima e a prescindere da ogni considerazione specista o antispecista».

    Sono d’accordo.

    Andrea scrive: «Un tipico argomento specista è quello che sostiene che l’animale umano sia legittimato a sfruttare gli animali non umani a causa del fatto che possiede una maggiore “razionalità”. L’argomento è assurdo, e in questa sede non vale la pena di spiegare le ovvie ragioni per cui non può essere preso sul serio».

    Chiaramente sono d’accordo.

    In conclusione con questo mio commento intendo affermare che la rivoluzione che una ipotetica liberazione animale comporterebbe, è di gran lunga la maggiore rispetto ad ogni altra verificatasi nella storia della nostra specie, dunque la questione animale presenta aspetti realmente fondamentali e critici anche per la nostra stessa “civiltà” umana.

  17. Il progetto del Manifesto Antispecista ha subito nel tempo, come ben sapete, una serie importante di modifiche che hanno riguardato sia l’impianto teorico, sia le modalità mediante le quali tali impianto teorico viene trasmesso al pubblico.
    Sin dal principio i testi elaborati, hanno sempre seguito una serie di accorgimenti utili a renderli il più possibile inclusivi e rispettosi, sia dal punto di vista degli altri Animali, sia da quello degli Umani, senza al contempo sacrificare l’efficacia della comunicazione.
    Anche il testo del libro “Proposte per un Manifesto antispecista” pubblicato nel 2015 ha ovviamente seguito questa impostazione del linguaggio.

    Per fare un po’ di chiarezza su quali siano ad oggi le impostazioni linguistiche adottate per evitare di causare delle discriminazioni attraverso testi scritti, è possibile leggere una pagina appositamente pubblicata sull’argomento. Essa oltre a contenere le attuali impostazioni, conterrà ovviamente anche quelle che verranno implementate in futuro.
    Come tutto nel mondo dei viventi anche la lingua è in continua evoluzione ed è fondamentale utilizzarla al meglio per cercare di descrivere non solo il mondo attuale, ma anche quello che vorremmo.

    Buona lettura.

    Note per un linguaggio non discriminatorio

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