Tra le numerose fotografie esposte in una interessante mostra che si è tenuta a Treviso (gennaio-febbraio 2018) nel Salone dei 300 dal titolo eloquente “Ascari & Schiavoni – Il razzismo coloniale a Treviso”, ve ne erano alcune di particolare rilievo.
La prima intitolata “Iena”, venne scattata da Antonino Capolongo in Tripolitania – Libia nel 1933 (archivio Iveser, Venezia) e ritraeva per l’appunto una Iena incatenata e tenuta ferma da un “selvaggio africano”.
La didascalia a corredo della foto in mostra recitava:
verso le popolazioni africane vi era un uso persistente di espressioni e immagini che richiamavano il mito del selvaggio da domare e quello della “terra vergine” della quale appropriarsi. […] il “selvaggio africano” viene rappresentato in abiti occidentali. Sovrapponendosi all’immagine della iena domata e in catene, quest’uomo sembra divenire simbolo di un “addomesticamento” e di una capacità di controllo che il governo italiano intendeva imporre e propagandare.
La seconda fotografia si intitolava “Ragazze bilene”, scattata nel 1936 in Eritrea (Collezione privata Marco Borghi), ritraeva due ragazze eritree seminude e sdraiate su un divano. Dalla didascalia della foto:
nel processo di colonizzazione vi è una ridefinizione dei rapporti sociali: l’incontro tra autoctoni e conquistatori dà vita a nuovi rapporti di potere che devono essere regolamentati anche giuridicamente. […] Era proprio il corpo di queste donne a svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione dell’immaginario coloniale. Cartoline come queste circolavano abbondantemente tra gli italiani – tanto da costituire il supporto per un augurio di “Buone Feste” – con la funzione di incentivare i giovani maschi a emigrare nelle colonie: il desiderio di possesso delle donne raffigurate si intrecciava con l’aspirazione alla conquista e allo sfruttamento dei territori.
La Iena da incatenare e domare, l’uomo selvaggio da sottomettere e civilizzare, le donne africane da esibire e possedere, la terra “vergine” da conquistare e sfruttare fanno parte della medesima narrativa di discriminazione, dominio e sfruttamento che ha caratterizzato e contraddistinto un pezzo – vergognoso – della storia del nostro Paese e che ancora oggi è parte integrante dell’immaginario collettivo.
Adriano Fragano