Il veganismo ai tempi del Coronavirus

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Da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il nuovo Coronavirus (Covid-19 o SARS-CoV-2) una pandemia, in pratica non esiste un continente che non sia stato interessato dalla sua presenza. Con il crescere del contagio, sono cresciute le emergenze sanitarie e diminuite le libertà individuali e collettive, fino a giungere a situazioni giustamente paragonate agli scenari immaginati nei romanzi distopici di Orwell, Huxley o Bradbury. I media fanno a gara nello snocciolare dati, tendenze, curve ascendenti e discendenti di contagi, raggiungimento di picchi ed elenchi di decessi; scienziati e esperti nelle più svariate discipline si affannano a fornire pareri su come uscire (più o meno indenni) dalla pandemia, su come dovremmo condurre gli interventi necessari a contrastarla e le modalità per convivere con il virus. Tutti si concentrano sul come arginare il dilagare di Covid-19, nessuno o quasi si interroga sul perché questo virus abbia colpito così duramente la nostra specie: ora non c’è tempo, dopo non ci sarà più la voglia di farlo.

Il contagio ha spazzato via ogni cosa, per primi il buonsenso e l’autocritica – in verità già scarsissimi in precedenza – lasciando spazio solo alla contingenza (la nostra condizione esistenziale preferita), all’immediato, allo scontro diretto e alla ricerca di una cura per una zoonosi, le cui cause pare non importino concretamente a nessuno. Le avvisaglie dell’arrivo di tempi bui, a volerle vedere, c’erano state tutte, anche se nessuno ormai sembra ricordarsi più i 74.155 incendi devastanti della foresta amazzonica scoppiati lo scorso anno1, o quelli che hanno incenerito aree immense dell’Australia tra la fine del 2019 e l’inizio (pessimo) del 2020, causando la morte di minimo 1 miliardo di Animali2. Per non parlare del problema del surriscaldamento globale che ha portato gli studiosi del settore ad affermare che il 2019 è stato il secondo anno più caldo mai registrato3. Ed ora ecco spuntare l’ennesimo virus che questa volta non si ferma ad una zona circoscritta, ma dilaga.
Che la distruzione sistematica degli ambienti, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, l’ipersfruttamento delle piante e il dominio e massacro di ogni specie animale, abbiano contribuito a generare una sorta di brodo di coltura ideale per la comparsa di virus come quello che ci sta colpendo, sembra ora del tutto logico. Non per nulla Covid-19 pare sia nato (ma lo sapremo mai con certezza?) in uno dei luoghi più orribili che la nostra specie abbia concepito e realizzato: i cosiddetti “mercati umidi”4. Ossia mercati in cui si detengono in condizioni allucinanti e si vendono Animali allevati o selvatici vivi, uccidendoli sul posto una volta venduti. Luoghi dove sangue, lacrime, urina, feci e interiora si mescolano alla sporcizia e all’acqua5. Un vero inferno in Terra nel quale milioni di Animali patiscono e muoiono senza soluzione di continuità, per soddisfare l’ingordigia umana. Da loro giungerebbe Covid-19, che grazie a questa oscena carneficina riesce a compiere l’ormai noto “salto di specie” o “spillover”6 e ad adattarsi alle nostre cellule. «È il nostro disprezzo per la natura e la nostra mancanza di rispetto per gli animali con cui dovremmo condividere il pianeta che ha causato questa pandemia, qualcosa che era stata prevista molto tempo fa», afferma Jane Goodall7. Come le si può dar torto? La connessione tra il nostro comportamento e la pandemia è fin troppo chiara, evidente, stupidamente prevedibile, eppure è ciò che, nonostante la potenza tecnologica e le nostre tanto osannate capacità intellettive, abbiamo causato.

Sui social network c’è chi discute della deforestazione, dell’invasione delle nicchie ecologiche altrui, della promiscuità e del sovraffollamento dei mercati di Animali e nei lager degli allevamenti sparsi in tutto il mondo, della prossimità tra specie animali allevate e specie selvatiche, del fatto che ormai il 75% delle nuove malattie che colpiscono la nostra specie sono zoonosi8. Ma in realtà sappiamo bene che tutto ciò ben poco contribuirà a cambiare le nostre abitudini, perché in verità l’unica cosa che la società umana desidera è che tutto torni come prima.
Ed è qui che sorge il problema fondamentale: il virus sta stabilendo un “prima” e un “dopo”, due stati che non sono comparabili né compatibili. Chi spera di poter tornare a vivere come prima s’illude enormemente, perché se così fosse, significherebbe scatenare altre situazioni come quella che stiamo affrontando. In verità il nostro sarà probabilmente un futuro che si dovrà modulare sulla consapevolezza che siamo ben poca cosa, se comparati all’immensa complessità della rete della vita sulla Terra.

L’aggressività e la bellicosità che contraddistinguono la nostra specie, raggiungono il parossismo soprattutto in questi momenti: cerchiamo caparbiamente un nemico da puntare, affrontare e abbattere. Una materializzazione di ciò che reputiamo una minaccia: per individuarla, circoscriverla e per scatenarle contro tutta la nostra rabbia. Capi di Stato e politici parlano di continuo di una guerra contro il virus, il personale medico e sanitario è truppa militare organizzata in brigate: compie gesta eroiche e cade in battaglia, come fanti della Prima Guerra Mondiale. I vaccini e la medicina in generale sono le nostre armi, i sacrifici richiesti ai cittadini sono un dovere per amor patrio (arrivando fino a fare assurdi paragoni con la Resistenza al fascismo) e tutto – in questo continuo stato di emergenza – è permesso ai governi: anche calpestare la libertà e i diritti più basilari dell’individuo, facendoci dimenticare di essere  degli individui oltre che potenziali infetti. La retorica della guerra ha suoi precisi codici comportamentali e serve a stabilire un “noi” e un “loro”, per poi giungere al conflitto e ad un dopoguerra con relativa e lucrosa ricostruzione. Questa volta però non può funzionare com’è sempre stato, perché il problema è in “noi” (letteralmente) e non esiste un “loro” a cui addossare la colpa.

Senza voler attribuire una sorta di consapevolezza al virus, è però evidente che nel suo agire, pare essere saggio: dilagando mette a nudo le nostre miserie, le incapacità, gli egoismi, la nostra vulnerabilità, ma soprattutto evidenzia il nostro totale fallimento come comunità umana e l’arroganza che permea il modo di confrontarci con gli altri viventi e la Natura. Se e cosa riusciremo ad apprendere da quanto ci sta accadendo è impossibile saperlo ora. E’ probabile che nel “dopo” causato dalla pandemia, si assisterà ad una maggiore polarizzazione dell’opinione pubblica. Ci sarà chi (la maggioranza) vorrà spingere per un aumento del controllo (anche intraspecifico, come sta già accadendo), del dominio sui viventi e del distanziamento dalla Natura, nella convinzione che la nostra eccezionalità neuronale, impegnata in un conflitto con il mondo vivente se possibile ancora maggiore dell’attuale, possa salvarci dalle problematiche dovute alla nostra condizione di animali umani. Ci sarà invece chi comincerà a porsi delle domande, a fare i conti con ciò che realmente siamo e cercherà soluzioni non più bellicose ma pacifiche, per interfacciarsi con la rete dei viventi in cui siamo – volenti o nolenti – immersi e dalla quale proveniamo.
Tralascerò ogni analisi per quanto riguarda l’eventuale inasprimento della guerra alla Natura, perché è un comportamento che non concepisco e perché l’esito sarebbe – per noi e per il pianeta – scontato e tragico. Desidero invece concentrare l’attenzione sulle possibili soluzioni per una pacificazione dei rapporti con gli altri viventi, che non dovrà avvenire perché è nel nostro interesse farlo, ma perché è un passo moralmente giusto e doveroso (da compiere nell’interesse di tutti).
Una di tali soluzioni è senza dubbio il veganismo: una filosofia morale capace – oggi ai tempi del Coronavirus più che mai – di indicare una strada alternativa a quella della (auto) distruzione. Il veganismo può contribuire a riparare molto di ciò che abbiamo grandemente danneggiato, aiutandoci nella costruzione di un nuovo ordine sociale umano (finalmente orizzontale), capace di liberarci (e liberare gli altri viventi) dalla maledizione dello sfruttamento che ci attanaglia, come si affermava in un “manifesto” reso pubblico dopo la fondazione della prima associazione vegana al mondo:

La Vegan Society tenta di abolire la dipendenza dell’uomo dagli animali, con la sua inevitabile crudeltà e carneficina, e di creare al suo posto un ordine più ragionevole e umano della società. […] Da qui, se la maledizione dello sfruttamento fosse rimossa, le influenze spirituali – operanti per il bene – svilupperebbero condizioni che assicurerebbero un maggiore grado di felicità e prosperità per tutti.9

Quanto citato può parere un intento utopistico, ingenuo e dal vago sapore new age, ma in verità si tratta di un concetto diretto e lineare in opposizione a quello di sfruttamento dei non umani in ogni sua declinazione: il nostro comportamento violento nei confronti degli Animali, deriva da una vera e proprio dipendenza dalla quale dobbiamo liberarci. Ecco quindi che ad una risposta “armata” della società umana specista contro il virus, mediante un aumento del controllo e dello sfruttamento degli Animali (si pensi ad esempio alla forsennata sperimentazione medica per trovare un vaccino), il veganismo ribatte che «una filosofia morale combinata con un pizzico di buonsenso è una guida più razionale delle teorie scaturite nei laboratori di vivisezione».
Probabilmente la via vegana è parte integrante di quel “buonsenso” che abbiamo smarrito – o non abbiamo mai avuto – che potrebbe condurci a reinventare anche le nostre stesse esistenze, trasformando la pandemia da flagello da combattere a lezione da comprendere per poter uscire dalla follia dello specismo. Quella vegana è certamente a tutti gli effetti una soluzione etica e pratica di immediata attuazione, che potrebbe fornirci strumenti per renderci conto che tutto è collegato e il virus, come ogni vivente, fa parte della nostra lunga storia di Animali terrestri.

In questo periodo molte persone umane hanno avuto la rara possibilità di poter sperimentare uno scampolo di esistenza basata su ritmi diversi rispetto ai consueti, probabilmente apprezzando i piccoli gesti, i dettagli e una quotidianità molto più lenta di quella a cui la società moderna ci ha dis-educati. In questa realtà sospesa e temporanea, probabilmente c’è chi ha compreso che vivere di e con meno, non solo è possibile, ma necessario. Che la tolleranza e l’umiltà (merce rarissima per la nostra specie) non sono solo belle parole, ma impostazioni di vita. Che in nostra assenza la Natura non solo ha continuato la sua vita, ma è rifiorita, riabitando luoghi dai quali avevamo cacciato ogni Animale10. Queste riflessioni puntano dritte verso atteggiamenti e comportamenti di consapevolezza, responsabilità, rispetto degli altri viventi e sobrietà che sono da sempre i fondamenti del veganismo. Forse è proprio nelle piccole cose e nei gesti quotidiani, privati, ma anche pubblici e quindi politici, che possiamo trovare un giusto rapporto tra la nostra specie e gli Animali, un nuovo equilibrio tra noi, gli altri viventi e il pianeta:

Se l’ideale vegan del non sfruttamento fosse generalmente adottato, sarebbe la più grande rivoluzione pacifica mai conosciuta […] Il veganismo stabilirebbe per la prima volta un giusto rapporto tra uomo e animali.11

Se durante clausura in abitazioni di cemento, ferro e mattoni abbiamo riflettuto sulla nostra condizione, probabilmente siamo sulla via giusta per comprendere che l’allontanamento volontario dalle nostre origini è un errore tragico.
La fine delle restrizioni imposte da un sistema che tutto gestisce e controlla è alle porte: le maglie paiono allargarsi. La reazione più che prevedibile sarà quella di un’accelerazione enorme e stupida per recuperare il tempo perduto. La speranza è che il numero di coloro che finalmente guarderanno con occhio critico il nostro sistema malato, prendendone le distanze, sia sempre più grande e che il veganismo, non potendo più essere ignorato o denigrato, possa ottenere l’attenzione che merita.

Adriano Fragano

 

Note:

1) https://time.com/5657387/brazil-amazon-forest-fires-surge
2) www.huffpost.com/entry/billion-animals-australia-fires_n_5e13be43e4b0843d361778a6
3) https://www.ilpost.it/2020/01/15/2019-secondo-anno-piu-caldo-registrato
4) Ne hanno parlato di recente Peter Singer e Paola Cavalieri in un articolo
https://www.project-syndicate.org/commentary/wet-markets-breeding-ground-for-new-coronavirus-by-peter-singer-and-paola-cavalieri-2020-03
5) https://youtu.be/Je0_U2ym_r0
6) https://libreriamo.it/libri/spillover-di-david-quammen-a-ruba-il-libro-che-aveva-previsto-la-pandemia/
7) https://www.lastampa.it/la-zampa/altri-animali/2020/04/12/news/coronavirus-la-primatologa-jane-goodall-la-mancanza-di-rispetto-per-gli-animali-ha-causato-la-pandemia-1.38711424
8) https://www.scienzenotizie.it/2020/04/06/zoonosi-il-75-delle-epidemie-provocate-da-allevamenti-intensivi-e-mercati-2636732
9) Cfr. Joanne Stepaniak, The Vegas Sourcebook, Lowell House, Los Angeles 2000, pp. 4-5.
10) https://www.corriere.it/pianeta2020/20_marzo_22/delfini-porti-lepri-citta-riscossa-natura-tempi-quarantena-715b4efe-6b8e-11ea-b5c1-51209be10271.shtml
11) Dichiarazioni di Donald Watson in occasione dell’11° Congresso Vegetariano Mondiale IVU (1947).


Foto di Daniel Roberts

Indirizzo breve di questa pagina: https://www.manifestoantispecista.org/web/xqmiu

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