Il Collettivo Tana Liberi Tutti (che ringrazio di cuore) mi ha proposto dieci domande relative a tematiche vegane e antispeciste a cui ho risposto volentieri, l’intervista è la prima della nuova rubrica #TanaIntervistaTutti.
Buona lettura.
#TanaIntervistaTutti #1
Intervista ad Adriano Fragano
1. Qual è la tua definizione di antispecismo?
La definizione di antispecismo che ormai da molti anni sento come appropriata è quella che è possibile leggere nel libro “Proposte per un Manifesto antispecista” che ho pubblicato nel 2015, ma che è il risultato di un progetto collaborativo di ampio respiro che ho avviato nel 2007.
Nello specifico la definizione è la seguente: www.manifestoantispecista.org/web/definizione-di-antispecismo
2. Nella tua valutazione, qual è la relazione tra antispecismo e veganismo?
Si tratta di una relazione fondamentale e inscindibile. Volgendo per un attimo lo sguardo al passato del veganismo, possiamo renderci conto di quanto le istanze liberazioniste siano state radicate nel pensiero originario vegano – ben prima che nascesse il movimento antispecista – e di come le motivazioni, che hanno mosso le persone umane pioniere del veganismo moderno, siano di tipo etico e legate al cambiamento radicale del rapporto profondamente sbagliato che abbiamo con gli altri Animali.
Ciò per dire che non è possibile considerarsi vegani senza abbracciare al contempo l’idea antispecista, come del resto non è possibile dichiararsi antispecisti senza condividere pensiero e pratiche vegane.
3. Quali sono i teorici/pensatori dell’antispecismo e/o del veganismo etico che hanno avuto maggiore influenza sulle tue idee e sul tuo modo di pensare?
La mia formazione come vegano e antispecista è avvenuto mediante un doppio binario: sul campo grazie all’attivismo “da strada” condotto in prima persona per molti anni e sul piano teorico mediante la lettura di numerosi testi, confronti diretti e incontri. Questa peculiare commistione mi ha aiutato nella ricerca e nella consultazione di una molteplicità di fonti, che vanno dai testi autoprodotti di matrice anarco-vegana, fino a quelli accademici o della letteratura cosiddetta mainstream per lo più di origine anglosassone.
Se devo quindi individuare dei nomi di riferimento (limitandomi all’ambito animalista/antispecista/vegano contemporaneo) posso citare una lista che va dai testi classici di Richard Ryder, Peter Singer, James Rachels, Tom Regan, Charles Patterson e Jim Mason, ma anche scritti di Steven Best, Chris DeRose, Jeffrey Moussaieff Masson, Marc Bekoff, Donald Watson, Leslie J. Cross, oppure di Keith McHenry e C.T. Butler (Food Not Bombs), fino a autrici e autori della galassia dell’animalismo radicale liberazionista come Brian A. Dominick.
Ritengo insomma di essermi dotato nel tempo di una formazione “ibrida”, coadiuvata inoltre da un fondamentale e continuo dialogo con pensatrici e pensatori italiani che mi hanno permesso di arricchire e definire sempre più il mio bagaglio culturale.
4. Quali sono, nella tua visione, le idee cardine del pensiero antispecista?
Il pensiero antispecista è complesso e in continuo divenire. Più che delle idee cardine (che andrebbero argomentate), in questa sede mi limiterei a citare delle parole-chiave che probabilmente risultano utili per un’introduzione all’ideale antispecista nei suoi molteplici aspetti: libertà individuale, rispetto dell’alterità, empatia, compassione, giustizia interspecifica, critica sociale.
5. Quale pensi sia stato il tuo principale contributo al pensiero antispecista e/o del veganismo etico?
Probabilmente il mio impegno per la nascita di una identità e consapevolezza vegana e antispecista, intese come propedeutiche a un’efficace e coerente critica radicale della società umana specista.
6. Quando sei diventato vegano e perché?
Il mio approccio al veganismo è stato purtroppo lento e graduale, ciò perché inizialmente ero sostanzialmente solo, privo di modelli di riferimento e di possibilità di confronto. Sono diventato vegetariano nel 1986, a partire dal 2000 ho attraversato una fase di transizione verso il veganismo e nel 2002 sono diventato completamente vegano. Le motivazioni che mi hanno spinto a questo percorso sono tanto semplici quanto impegnative: contribuire personalmente e direttamente alla lotta di liberazione animale, mediante una ricerca di sempre maggiore consapevolezza e una conseguente assunzione di responsabilità.
7. La riflessione sull’antispecismo e sul veganismo è spesso caratterizzata da contrapposizioni piuttosto forti che, in alcuni casi, si spostano dalla discussione sui temi alla focalizzazione su specifici punti di vista e talvolta sulla singola persona. Qual è la tua opinione in proposito?
Reputo del tutto fisiologico che, nel dibattito in seno a idee sostanzialmente rivoluzionarie e destabilizzanti come quelle antispecista e vegana, ci siano forti contrapposizioni; ciò che invece ritengo anomalo e grave è scadere in questioni personali e giungere a considerare l’interlocutore un vero e proprio avversario se non addirittura un nemico. Questo denota non solo una mancanza di rispetto per gli altri (che per inciso dovrebbero essere dalla nostra parte), ma spesso è anche sintomo di preoccupanti derive personalistiche o di palesi manie di protagonismo: tutti elementi che arrecano seri danni alla causa che si pretende di difendere. La lotta per la liberazione animale è talmente importante che a confronto qualsiasi questione personale diviene del tutto insignificante, questo troppo spesso pare essere bellamente ignorato soprattutto nel nostro ambiente.
8. Il dibattito tra abolizionisti e liberazionisti è stato talvolta caratterizzato da una rappresentazione non sempre fedele delle rispettive posizioni e forse non sempre pienamente rispettosa delle diverse articolazioni del pensiero all’interno di queste categorie ‘ombrello’. Qual è la tua riflessione in proposito?
Si tratta di un dibattito annoso che è ben lontano dal giungere a una soluzione. Probabilmente molte delle diatribe nate da questo dibattito, derivano da un problema di errata interpretazione. Credo che l’argomento debba essere affrontato partendo dall’analisi della radice semantica dei due termini in questione, che poi dovrebbero riflettere due approcci sostanzialmente diversi alla questione animale.
Abolire deriva dal latino abolere e indica l’atto di sopprimere, annullare in generale una norma, una consuetudine o una legge mediante l’intervento di un’autorità o di un soggetto che abbia la capacità di apportare una modifica di interesse generale. Liberare è un verbo che deriva anch’esso dal latino: precisamente da liber, libero. Quindi semplicemente rendere libero, restituire alla libertà. Risulta chiaro (al netto di tutti i distinguo e delle situazioni intermedie o particolari che possono sussistere tra le due posizioni) che l’abolizionismo concepisce un rapporto (che sia conflittuale o collaborativo poco importa) con una o più autorità che fanno parte della struttura della società umana specista, che siano in grado – che abbiano il potere – di procedere all’eliminazione di una legge, una consuetudine, una norma o una tradizione causa dello sfruttamento, della prigionia e dell’uccisione degli Animali. Il liberazionismo invece rivolge la propria attenzione alla condizione di schiavitù dell’Animale che intende far cessare, ciò senza che debba esserci necessariamente un qualche tipo di rapporto con strutture della società specista che può anche non essere riconosciuta come referente. Dunque nella teoria – e banalizzando molto – è questa la distinzione fondamentale tra le due “fazioni” in oggetto che dovrebbe sempre essere tenuta presente: per abolire una pratica di sfruttamento è necessario riconoscere che esiste qualcosa o qualcuno che abbia sufficiente autorità per farlo (difficilmente potremmo da soli abolire una norma socialmente riconosciuta), per liberare un soggetto animale ridotto in schiavitù tale riconoscimento non è necessario e il focus verte esclusivamente sulla sua condizione.
9. Intersezioni, convergenze, terreno comune, obiettivi comuni. In questo periodo si discute sempre più di quello che potrebbe unire diversi movimenti e gruppi per la liberazione e i diritti degli animali umani e di quelli non umani, per la difesa dell’ambiente, ecc. Qual è la tua valutazione in proposito?
Come antispecista non posso che condividere l’assunto che se di liberazione dobbiamo parlare, essa debba essere totale e generale: una liberazione parziale sarebbe di fatto un fallimento per qualsiasi movimento che si reputi realmente liberazionista. Detto questo è necessario fare i conti con la realtà, ed ammettere che, ad oggi, né il cosiddetto movimento di liberazione animale, né i vari movimenti di liberazione umana sono pronti per una reale intersezionalità. Peraltro è necessario aggiungere che contrariamente a ciò che molto spesso si pensa in ambito antispecista, la lotta di liberazione animale ha caratteristiche talmente peculiari da renderla unica e non sovrapponibile alle lotte per la liberazione umana: una per tutte è quella che il movimento di liberazione animale ha come soggetti principali gli Animali, ossia un numero enorme di specie animali diversissime tra di loro e che nulla hanno a che fare con la società umana, mentre qualsiasi lotta di liberazione umana – a prescindere dalle sue caratteristiche – si occupa di una parte ben precisa di individui all’interno della società di una singola specie animale: quella Umana. Già solo questo è sufficiente per comprendere come sia impossibile una trattazione unica di tali lotte e anche di quanto sia fuorviante riconoscere una stessa matrice e un’unica modalità tra tipologie di sfruttamento, oppressione e discriminazione nei confronti di esseri viventi profondamente diversi tra loro.
Servirebbe ben altro spazio per trattare degnamente questo discorso, mi limito quindi solo ad affermare che non ritengo percorribile ad oggi la via dell’intersezionalità delle lotte di liberazione (animale e umana) – come proposto da parte del movimento antispecista contemporaneo -, credo invece che si dovrebbe parlare più pragmaticamente di “interdiscorsività”.
Per un approfondimento del tema suggerisco di leggere il seguente articolo: www.veganzetta.org/teoria-intersezionale-e-antispecismo-una-critica
10. La crisi climatica e la sesta estinzione di massa imporrebbero un ripensamento profondo del rapporto tra animali umani, animali non umani ed ecosistemi. C’è qualcosa che dovrebbe cambiare anche nella riflessione antispecista e dei vegani etici in relazione alla situazione attuale?
Il veganismo è sinonimo di responsabilità e di autocritica: in buona sostanza la sua pratica è un esercizio continuo di autocontrollo nella relazione tra noi Umani e gli altri. Ciò che auspico in ambito vegano e antispecista è dunque l’adozione di una considerazione più ampia del problema relazionale – comprendente una visione allargata a tutti i viventi, sistemica e globale del nostro impatto sul pianeta Terra – che conduca ad una maggiore assunzione di responsabilità da ottenere per mezzo di un’adeguata autocritica come individui e come specie.
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A cura di Collettivo 2.